Morta l’attrice Adriana Asti: carriera, film, teatro e vita privata della diva italiana

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È morta a 94 anni Adriana Asti, protagonista del teatro e del cinema italiano. Musa di Visconti, Pasolini e Bertolucci, ha attraversato settant’anni di palcoscenici, set, doppiaggi e autobiografie con un’eleganza spigolosa e una voce inconfondibile. La sua carriera, costellata di successi e incontri leggendari, resta impressa nella memoria collettiva del nostro immaginario culturale

Addio ad Adriana Asti, stella inquieta del teatro e musa di Visconti, Pasolini e Bertolucci

Il sipario si è chiuso per Adriana Asti. Ma la sua voce – tagliente e dolcissima, ironica e ferita – continua a vibrare tra le tavole del palcoscenico e le ombre argentate dello schermo. È morta oggi a Roma, a 94 anni, una delle figure più magnetiche, eleganti e anticonvenzionali della storia del teatro e del cinema italiano. Una presenza fuori dal tempo, eppure sempre profondamente ancorata alle sue epoche, che ha attraversato con sguardo acuto, femminilità tagliente e un talento che non ha mai chiesto il permesso.

Adriana Asti, una biografia intrecciata con la storia del cinema italiano

Nata a Milano il 30 aprile 1931, Adriana Asti non fu mai una semplice interprete. Fu corpo vivente della scena, parola incarnata, attrice totale. Il suo esordio arriva giovanissima con Città di notte di Leopoldo Trieste (1958), ma è con il teatro che si consacra: Miles Gloriosus di Plauto, e poi Il crogiuolo di Arthur Miller diretto da Luchino Visconti, che le affida anche piccoli ma significativi ruoli nei suoi film, da Rocco e i suoi fratelli a Ludwig.

Visconti non fu l’unico genio a volerla accanto: Pasolini la sceglie per Accattone (1961), dove interpreta Amore, prostituta tragica e lirica, mentre Bernardo Bertolucci – che fu anche suo primo marito – la trasforma in una zia magnetica in Prima della rivoluzione (1964). In ogni ruolo, la Asti trasforma il marginale in centrale, l’ombra in presenza, il sottotesto in gesto teatrale.

Musa inquieta del cinema d’autore: da Pasolini a Bunuel, da Brass a Giordana

Nel suo percorso cinematografico, Adriana Asti ha attraversato tutti i territori del cinema d’autore: Il fantasma della libertà di Luis Buñuel, Un cuore semplice di Giorgio Ferrara (secondo marito dell’attrice), La meglio gioventù e Quando sei nato non puoi più nasconderti di Marco Tullio Giordana. Lavorò anche con VIttorio De Sica, Tinto Brass, Abel Ferrara, Mathieu Amalric, e perfino Susan Sontag che la diresse  in Duett för kannibaler

Fu attrice simbolo del cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta, ma capace di riemergere, sorprendente e fragile, nei primi Duemila. In La meglio gioventù, la sua voce rotta d’emozione è una ferita aperta sulla memoria nazionale. Vinse tre Nastri d’Argento, un David Speciale, il Globo d’Oro della stampa estera e il Premio Flaiano alla carriera.

Una regina del teatro italiano, tra Beckett, Goldoni e la sua autobiografia

Parallelamente al cinema, la sua carriera teatrale fu sconfinata: fu diretta da Giorgio Strehler, Luca Ronconi, Robert Wilson, Giorgio Ferrara, Mario Missiroli. Interpretò Santa Giovanna, Giorni felici, La locandiera, Trovarsi, Les bonnes, Danza macabra. Scrisse e mise in scena Alcool, portò Ferdinando anche in lingua francese, firmò il monologo Memorie di Adriana, tratto dal suo libro di conversazioni Ricordare e dimenticare.

Con la voce, l’ironia e la determinazione della grande attrice, sapeva trasformare ogni replica in un rito laico. Non recitava: evocava. Il suo teatro era una danza tra verità e maschera, in cui il pubblico si sentiva simultaneamente spettatore e complice.

Adriana Asti fu molto più di un nome nei titoli di testa. Fu interprete di un’idea di femminilità intellettuale e inquieta, di bellezza non conformista, di recitazione profonda e mai istrionica. Non fu mai una diva nel senso classico, eppure il suo volto è rimasto indelebile. È stata doppiatrice (voce di Claudia Cardinale, Catherine Spaak, Romy Schneider), scrittrice, protagonista di fiction e documentari. Nel 2023 era apparsa a Le ragazze su Rai 3, raccontando con tenerezza e lucidità la sua infanzia, le prove, le cadute e le rinascite.

Adriana Asti, il teatro che non smette di accadere

Con la sua morte, se ne va una delle ultime attrici capaci di attraversare la scena come un’epifania: tra palcoscenico e macchina da presa, tra parola e silenzio, tra maschera e anima. Ma ciò che resta – come in ogni grande rito teatrale – non è l’assenza, bensì la presenza che continua a vibrarci addosso.

Resta la sua voce, roca e infantile, dolce e sarcastica, una voce che sembrava accarezzare e ferire con lo stesso respiro. Resta la sua eleganza fatta di distacco e profondità, come chi ha imparato a guardare il mondo da un’angolazione obliqua. E resta quel suo sguardo che sembrava vivere sempre un po’ più avanti, come se sapesse in anticipo ciò che ancora noi ignoriamo.

Adriana Asti non recitava per mestiere, né per vezzo. Lo faceva per necessità. «Non esiste personaggio che non abbia qualcosa di mio», diceva. E in quel “mio” c’era la materia stessa dell’arte: la memoria, l’ironia, il disincanto, la fame di bellezza. In fondo, anche il pubblico è un personaggio. E con lei, in scena, lo siamo stati tutti.

Il sipario cala. Ma il teatro – se è vero – non finisce. Accade ancora, da qualche parte. Accade in noi. Adriana Asti è là: viva, mentre si ricorda. Muta, mentre si ascolta. Immobile, mentre accade.

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