Il Lago di Neumeier, Laurent Hilaire: “Tra i cigni il tormento e la follia di Ludwig II”

È una versione del Lago dei Cigni mai rappresentata in Italia che parte dal celebre capolavoro su musica di Tchaikovsky per scavare nella complessità dell’animo umano portando in scena l’animo tormentato di Re Ludwig II di Baviera. Creato da John Neumeier per il balletto di Amburgo nel 1976, Illusioni – Come il Lago dei Cigni è una rilettura del Lago sorprendente. Per la capacità narrativa tipica del grande coreografo, che sa raccontare come nessun’altro le tante sfumature dell’animo umano, ma anche per la meticolosa ricostruzione del secondo atto, il cosiddetto “atto bianco”. La storia immaginata da Neumeier si dipana attraverso i ricordi e le fantasie di un re, Ludwig II appunto, che, dichiarato pazzo e imprigionato nel suo palazzo, rivive i momenti chiave della sua vita. Feste, amori perduti, tormenti, l’ossessione per “l’uomo nell’ombra” e la presunta omosessualità. E Il Lago dei Cigni, con l’espediente del teatro nel teatro, diventa uno spettacolo a cui assiste. Ed è in quel momento che il confine tra realtà e illusione si dissolve. Ne abbiamo parlato con il direttore del Bayerisches Staatsballett Laurent Hilaire, già étoile dei tempi d’oro dell’Opéra di Parigi, in occasione della prima rappresentazione a Monaco di Baviera con un cast eccellente. Per la profondità dell’interpretazione e per la tecnica impeccabile di artisti di formazione diversa. Primi tra tutti nei ruoli principali Jacob Feyferlick e Ksenia Shevtsova , Madison Young e Antonio Casalinho e Margarita Fernandes. John Neumeier unisce alcuni momenti della biografia di Ludwig II con estratti da Il lago dei cigni “classico” che tutti conosciamo. Come si realizza questo mix? Con John c'è sempre una storia nella storia, è davvero il suo marchio di fabbrica. Lui fa qualcosa di molto interessante e dà vita a questo balletto che è molto bello ma anche molto difficile a livello di personaggi e che qui a Monaco ha qualcosa di ancora più forte. Ludwig era un personaggio complesso, con quella specie di follia, quel suo desiderio di sfuggire a una specie di protocollo e allo stesso tempo con un'ambiguità nel provare dei sentimenti per una donna o per un uomo. E John Neumeier sviluppa molto bene questo portando in scena anche i suoi demoni. E ha fatto un grande lavoro con la compagnia nel trasmettere il senso delle intenzioni di ogni gesto e dettaglio della coreografia. Neumeier usa dunque Il lago dei cigni non come uno spettacolo a sé stante, ma come uno spettacolo nello spettacolo a cui Ludwig assiste. Uno spettacolo che guarda e con il quale allo stesso tempo si identifica perché quest'uomo ha bisogno di fuggire dalla realtà. Lui trova il suo ideale nella costruzione di castelli, nel teatro, nella bellezza di un cigno, nella bellezza di un uomo o di una donna e tutto questo crea in lui un'ambiguità che rappresenta un problema, un dilemma che non riesce a risolvere e che lo porta alla follia. È una storia davvero molto bella. Nel secondo atto troviamo una perfetta ricostruzione della coreografia originale di Lev Ivanov. Come si inserisce nello stile cosiddetto “narrativo” e sicuramente più contemporaneo di Neumeier? Proprio perché i cigni sono una storia nella storia Neumeier li tratta con molto rispetto. Lui ha una profonda conoscenza della cultura russa. Ha lavorato con i russi, con i francesi e in realtà un po’ con tutti. Poi ha la sua intelligenza e sensibilità, ovviamente. È rispettoso di ciò che ha fatto Ivanov e lo usa senza modificarlo troppo ma a partire da questo costruisce la sua storia. E così in scena c’è Ludwig che guarda Il lago dei cigni. Quindi è uno sguardo ma allo stesso tempo i cigni ritornano anche alla fine, nella sua inventiva, perché è un modo per lui di evadere e di sfuggire alla quotidianità. Cosa la colpisce di più di questa versione de Il Lago dei Cigni? Io penso che un'opera d'arte sia sempre il risultato di una storia e di una conoscenza. E più cerchi qualcosa, più impari, più ti nutre e più ti dà anche sfumature da immaginare e da offrire. Quello che colpisce nelle coreografie di John è questa profonda umanità perché tutto è all’interno di una logica di reazione degli uni rispetto agli altri. L'essere umano è sottile ma con un'enorme diversità di sentimenti e capacità di reagire. Ma c'è sempre una logica nella reazione ad un'azione. E tutto questo John lo spiega straordinariamente bene. Ed è quello che auspico per ogni artista: dare un senso a ogni passo o gesto che si fa in scena. Io da ballerino lo ricercavo e ora come direttore cerco di trasmetterlo alla compagnia. Cambiando argomento, è scomparso da pochi giorni Yuri Grigorovich, vera leggenda del balletto a cui si devono grandi coreografie e ricostruzioni del repertorio classico. Ha mai lavorato con lui? Non lo conoscevo bene, l'ho incontrato diverse volte. Era un uomo affascinante che si divertiva a usare le parole in francese. Penso che sia stato una figura emblematica. Io, che ho trascorso cinque anni in Russia, conosco bene l'importanza che aveva nella cultura russa ma anche nella cultura della danza in generale. Quindi mi associo alla tristezza per questa perdita che è un po’ anche la fine di una certa epoca. Ha fatto dei balletti favolosi e rimarranno per sempre nel repertorio delle compagnie russe e non solo. Nella sua carriera come danzatore ha avuto invece modo di lavorare con un’altra leggenda assoluta della storia della danza: Rudolf Nureyev. Che ricordo ha di lui? Di Rudolf ho molti ricordi di momenti vissuti insieme. Sono stato un suo allievo, mi ha nominato étoile. Ho lavorato con lui, sono stato fortunato. Sa, accade a volte nella vita di poter incontrare a un certo punto persone eccezionali, di ritrovartele accanto e di essere accompagnati nella crescita nel momento preciso in cui ciò è necessario. Io ho avuto questa fortuna con Rudolf che aveva non solo una grande personalità ma anche una filosofia di vita e di scena che mi ha segnato per sempre. Perché lui riusciva a vedere quello che potevo fare e quello che potevo fare di più senza saperlo. Lui diceva sempre: “Se lo faccio io potete farlo anche voi”. E aveva ragione perché possiamo essere capaci di fare di più. Quando si è al servizio di un'arte, che sia la danza o un'altra arte, è qualcosa che non si può quantificare, che non si può calcolare, bisogna essere totalmente impegnati. Essere un artista non è semplicemente fare il proprio lavoro e dare il 100%. No. È dare il 120% o 130%. Ed è possibile farlo spingendosi oltre i propri limiti, che possono essere superati se si ha il coraggio di farlo. Questo è stato il suo più grande insegnamento. E poi Rudolf aveva questa cultura senza confini: aveva lavorato in Russia ovviamente ma anche a Londra, Parigi e New York. Era il risultato di scuole diverse e di quello che aveva imparato. Io cerco di continuare il suo lavoro, i suoi insegnamenti hanno fatto parte della mia storia personale e ora voglio trasmetterli perché tramandare la sua arte è davvero importante.

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Il Lago di Neumeier, Laurent Hilaire: “Tra i cigni il tormento e la follia di Ludwig II”