In Italia ci sono “città da 15 minuti”? Risposta: qualcuna

Secondo il 22esimo Rapporto Isfort sulla mobilità, in un giorno medio feriale dei primi sei mesi del 2025, in Italia sono stati registrati 102,7 milioni di spostamenti. Le motivazioni principali sono tre: lavoro, gestione familiare e tempo libero. Circa il 60% avviene in auto, il 20% a piedi e il resto con mezzi pubblici, in bicicletta o in moto. Percentuali, quelle degli spostamenti a piedi o in bicicletta, che potrebbero essere molto più alte se si applicasse all’urbanistica un concetto teorizzato dal professor Carlos Moreno nel 2016: la “città da quindici minuti”. Ovvero, organizzare la città in modo che i servizi essenziali , siano raggiungibili in massimo 15 minuti a piedi o in bicicletta. Per misurare quanto questo modello sia stato applicato nel mondo, Leonardo Nicoletti Mikhail Sirenko e Trivik Verma hanno costruito CityAccessMap, una piattaforma open source che misura l’accessibilità urbana delle città con più di 100mila abitanti in tutto il mondo. In questo articolo utilizziamo CityAccessMap per rispondere a una domanda concreta: quali città italiane possono davvero essere considerate “città da 15 minuti”? Bolzano, Reggio Emilia e Modena al top Secondo l’urbanista franco-colombiano Carlos Moreno, molte città contemporanee sono state progettate attorno a una tripla segregazione: funzionale , sociale e spaziale, fortemente dipendente dall’uso di un’auto privata. Rompere questa struttura significa mettere al centro le persone, invece dei veicoli, riportando scuole, servizi, uffici e spazi culturali vicino alle case e favorendo la nascita di comunità locali attraverso spazi condivisi come parchi e piazze. Nonostante la popolarità recente, la città dei 15 minuti non nasce dal nulla. Molti urbanisti la considerano l’erede di una lunga tradizione di pensiero urbano: dalle Garden Cities di Ebenezer Howard all’inizio del Novecento, alla Neighborhood Unit teorizzata negli anni Venti per creare quartieri autosufficienti. Altri, come Elena Marchigiani e Bertrando Bonfantini in questo articolo sulla rivista di settore Sustainability, fanno risalire le sue radici ancora più indietro, al piano di espansione ottocentesco di Barcellona disegnato da Ildefons Cerdà, basato su una griglia regolare di isolati pensati per essere facilmente accessibili e attraversabili. In questo senso, il modello diffuso da Moreno recupera caratteristiche tipiche delle città storiche adattandole agli stili di vita contemporanei e alle sfide ambientali. È però dopo la pandemia che il concetto entra davvero nel dibattito pubblico globale. Le restrizioni alla mobilità e la riscoperta dei quartieri hanno reso evidente quanto la vicinanza ai servizi sia cruciale per il benessere quotidiano. In questo contesto, Parigi è diventata il caso simbolo: qui Moreno ha lavorato a stretto contatto con la sindaca Anne Hidalgo, trasformando la città in un laboratorio urbano fatto di piste ciclabili, servizi di prossimità e spazi pubblici riconquistati. Non a caso Moreno insiste nel dire che la città dei 15 minuti non è un semplice piano urbanistico, ma “un cambiamento radicale del nostro modo di vivere”. Se non visualizzi il grafico, clicca qui Applicando questi criteri alle città italiane con più di 100 mila abitanti, CityAccessMap ha analizzato in totale 32 centri urbani a partire dai dati della piattaforme OpenStreetMap e Global Human Settlement Layer della Commissione europea, valutandone l’accessibilità sulla base di sette indicatori: vicinanza alle fermate del trasporto pubblico, accesso a parchi e palestre, presenza di librerie e centri civici, ristoranti, cinema e discoteche, farmacie e ospedali, scuole. A livello spaziale, la piattaforma ha una particolarità da tenere in considerazione: non utilizza i confini comunali per definire le dimensioni delle città, ma le ”aree urbane funzionali“ definite dall'OCSE e dall'Unione Europea. Ovvero, l’insieme di unità amministrative contigue che compongono una centro urbano e le unità locali circostanti meno densamente popolate che fanno parte del mercato del lavoro della città . Il team di ricerca di CityAccessMap spiega infatti nella metodologia del sito che “i confini delle aree urbane funzionali tengono conto di fattori di urbanizzazione come i flussi pendolari e la densità di popolazione sono meno arbitrari rispetto ai confini comunali. Per questo motivo, le città possono avere una forma diversa da quella che ci si potrebbe aspettare”. È il caso, ad esempio, di grandi città come Torino e Napoli, ma anche Milano, che seguendo questo parametro arriva a superare i residenti di Roma . Se non visualizzi il grafico, clicca qui Alcune città raggiungono il 100% di accessibilità, come Bolzano, Reggio Emilia e Modena. All’estremo opposto si collocano città come Salerno, Messina, Napoli e Caserta, che mostrano livelli di accessibilità significativamente più bassi. Se non visualizzi il grafico, clicca qui Cambiando database e metodo, cambiano anche le mappe dell’accessibilità: è il caso dello studio firmato da Matteo Bruno, Hygor Piaget Monteiro Melo, Bruno Campanelli e Vittorio Loreto dei Sony Computer Science Laboratories - Rome, in collaborazione con Sapienza Università di Roma e il Centro Ricerche Enrico Fermi, pubblicato su Nature Cities. Secondo questa analisi, in Italia le vere “città da 15 minuti” sarebbero sei: Milano, Torino, Livorno, Genova, Bologna e Firenze, centri urbani dove almeno il 90% della popolazione può soddisfare gran parte dei bisogni quotidiani entro un quarto d’ora. Roma si ferma al 71%, Napoli al 60%. Più in generale, però, il modello di Romero non è privo di critiche. Nel Regno Unito l’opposizione alla città dei 15 minuti è stata spesso alimentata da teorie del complotto che la dipingono come uno strumento di controllo e limitazione della libertà di movimento. A Oxford, in particolare, proteste i quartieri a traffico limitato hanno parlato di “climate lockdown”, con il sostegno di esponenti della destra radicale e una forte circolazione di disinformazione online. Un’altra critica, più strutturale, riguarda il rischio che la città da 15 minuti rafforzi le disuguaglianze urbane, lasciando i quartieri periferici ancora più isolati dal resto della città e, al contrario, ne spinga altri verso la gentrificazione, facendo salire i prezzi immobiliari ed espellendo le persone più vulnerabili.

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In Italia ci sono “città da 15 minuti”? Risposta: qualcuna

Roberta Cavaglià