Cosa comportano le nuove misure israeliane per le ong a Gaza

Le organizzazioni umanitarie rischiano di perdere accesso alla Striscia di Gaza a partire dal 2026. La denuncia arriva da Medici senza frontiere , che afferma che Israele ha introdotto nuovi requisiti per la registrazione delle ong, inasprendo le condizioni di lavoro per il personale umanitario in Palestina. “Questo comporterebbe un’ulteriore tragedia per la popolazione persone che continuano a soffrire la violenza genocidaria israeliana - ha dichiarato Monica Minardi, presidente di Msf - per le condizioni di vita sempre più drammatiche e anche per via del fatto che l'accesso agli aiuti umanitari è ancora altamente insufficiente”. Cosa è cambiato dalla tregua Dall’accordo di cessate il fuoco del 10 ottobre l’unica cosa che è cambiata per la popolazione nella Striscia è che l’attenzione mediatica è calata. Per Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, si tratta di una “pericolosa illusione” l’idea che “la vita a Gaza stia tornando alla normalità”. Entrambe le parti, Hamas e le Israel defence forces , si accusano di aver violato la tregua, con Israele che ha ucciso finora più di 400 persone nella Striscia. Numeri che sono destinati a salire, perché l’Idf sta attaccando senza sosta anche Cisgiordania e Libano . Seppure dalla stipula della tregua la frequenza dei bombardamenti è diminuita, Tel Aviv non sembra avere intenzione di alleviare le condizioni di vita dei civili. “Il mondo non deve farsi ingannare - ha ribadito Callamard - Il genocidio di Israele non è finito”. Insicurezza alimentare e maltempo I sopravvissuti a Gaza continuano a vivere nella precarietà. Anche se le Nazioni Unite hanno affermato a dicembre che la Striscia è uscita da una condizione di carestia - intesa come estrema privazione alimentare, malnutrizione acuta e morti legate alla fame - l’insicurezza alimentare è diffusa. Secondo la classificazione dell’Integrated food security phase classification dell’Onu, ha raggiunto il livello 5, cioè la fase più estrema, il 22 agosto 2025. Come dichiarava l’Unicef a fine agosto, il timore era che “entro la fine di settembre, più di 640mila persone si troveranno ad affrontare livelli catastrofici di insicurezza alimentare - classificati come Ipc Fase 5 - in tutta la Striscia di Gaza. Altre 1,14 milioni di persone nel territorio si troveranno in condizioni di emergenza e altre 396.000 persone in condizioni di crisi ”. Dal cessate il fuoco la situazione è rientrata dalla fase 5 ma non ha comunque raggiunto condizioni di sicurezza alimentare accettabili. Si è aggravata ulteriormente con il sopraggiungere del maltempo e del freddo invernale, che sta rendendo insopportabile la resistenza della popolazione palestinese all’interno delle tende da campo in cui è costretta a vivere. "A Gaza permangono livelli di fame spaventosi e prevenibili", ha dichiarato anche Marta Valdes García, direttrice umanitaria di Oxfam. "Israele consente l'ingresso di troppi pochi aiuti, pur continuando a bloccare attivamente le richieste di aiuto da parte di decine di agenzie umanitarie affermate". L’organizzazione ha definito “fragile” l’accordo di cessate il fuoco stipulato a metà ottobre, anche perché il governo di Benjamin Netanyahu ha consentito “l’ingresso a Gaza solo di una piccola parte degli aiuti necessari”. Oxfam chiede un accesso senza restrizioni: “Siamo pronti ad aumentare la distribuzione di aiuti umanitari una volta garantito”, ha affermato. L'appello di Msf È dello stesso avviso Medici senza frontiere, che ha avveritto che la risposta umanitaria, già limitata, non può essere ridotta. L’organizzazione assiste a Gaza quasi mezzo milione di persone e per il 2026 ha stanziato tra i 100 e i 120 milioni di euro per la sua risposta umanitaria. Ora i progetti sono a rischio, perché le nuova misure introdotte da Israele per la registrazione delle organizzazioni non governative sono più rigide e selettive. Nessun ospedale è tornato a operare al pieno delle sue potenzialità nella Striscia e con il sistema sanitario ormai allo stremo organizzazioni indipendenti come Msf sono l’unica speranza di introdurre cure salvavita nell’exclave palestinese. “Solo nel 2025 abbiamo effettuato quasi 800mila visite ambulatoriali e gestito più di 100mila pazienti con trauma”, ha spiegato Pascale Coissard, coordinatrice delle emergenze di Msf a Gaza. Ma non solo: l’organizzazione si è anche occupata dell'assistenza per oltre 400 posti letto ospedalieri, ha eseguito 22.700 interventi chirurgici su quasi 10mila pazienti ed effettuato quasi 800mila. A Gaza 6 ospedali pubblici e 2 ospedali da campo sono gestiti dalla ong, per questo, afferma, “Msf continua a cercare un dialogo costruttivo con le autorità israeliane per poter continuare ad operare”.

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Agnese Ranaldi