È morto a 78 anni il leggendario regista e produttore americano che ha firmato alcune delle cerimonie televisive più iconiche degli ultimi cinquant’anni, dagli Oscar agli Emmy, dai Golden Globe agli American Music Awards. Il suo stile elegante e umano ha rivoluzionato il linguaggio della diretta televisiva
Jeff Margolis non era solo un regista televisivo. Era l’architetto silenzioso dietro alcuni dei momenti più emozionanti, solenni e glamour della storia dello spettacolo mondiale. La sua regia ha accompagnato generazioni di spettatori in serate che ormai fanno parte della memoria collettiva. Dai riflettori degli Oscar alla passerella dorata dei Golden Globe, dalla musica degli American Music Awards all’intimità celebrativa dei Sag Awards, il suo tocco era ovunque: invisibile ma inconfondibile.
Margolis si è spento venerdì mattina a Nashville, all’età di 78 anni. La famiglia ha comunicato la notizia, senza specificare le cause del decesso. Con lui se ne va una figura cardine della televisione americana, un innovatore che ha saputo unire spettacolo e rispetto per l’arte, ritmo e profondità emotiva, in ogni singola inquadratura.
L’uomo dietro lo show
Nato a Los Angeles nel cuore dell’industria dell’intrattenimento, Jeff Margolis ha cominciato giovanissimo a respirare l’aria degli studi televisivi. Da adolescente aiutava lo zio Monty Hall, celebre conduttore di Let’s Make a Deal, tenendo in mano i cartelloni con le battute. Un aneddoto che oggi suona come una parabola: da quel ruolo silenzioso e ausiliario, Margolis è salito fino a dirigere i riflettori, scegliendo quando accenderli e dove puntarli.
La sua carriera è un’enciclopedia dello show business: 22 edizioni degli American Music Awards, otto cerimonie degli Oscar (tra cui quella del 1995, che gli valse un Emmy), sette Sag Awards, tre Emmy Awards, due ACM Awards. Senza contare gli eventi speciali per leggende della cultura pop come Frank Sinatra, Michael Jackson, Elizabeth Taylor, Bette Midler e Cher.
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Il regista che parlava con la grazia
Se Margolis è riuscito a imporsi in un ambiente spesso cinico e spietato, è grazie a una filosofia che lui stesso ha riassunto in una delle sue ultime interviste, rilasciata a Medium nel 2024:
“Credo che una parte significativa del mio successo sia legata alla gentilezza. Non ho mai alzato la voce o umiliato qualcuno. Cerco sempre di creare un ambiente familiare in ogni progetto.”
Nel mondo patinato ma stressante delle dirette televisive, questo approccio era rivoluzionario. Margolis dirigeva con l’empatia, costruiva squadre affiatate e metteva il rispetto prima dell’ego. Il lavoro di squadra per lui non era un concetto astratto, ma una prassi quotidiana. Non sorprende che molti collaboratori parlino di lui come di un mentore gentile, capace di ascoltare e valorizzare ogni idea, anche se diversa dalla sua.
Uno stile che ha fatto scuola
Nel corso della sua carriera, Margolis ha contribuito a definire il linguaggio televisivo delle cerimonie di gala. La sua regia non si limitava a “riprendere” lo spettacolo: lo costruiva, lo metteva in scena con precisione chirurgica, ma anche con sensibilità artistica. Dava ritmo ai tempi morti, creava pathos nei momenti decisivi, e sapeva far sentire ogni vincitore protagonista di una storia più grande.
Il comitato dei SAG Awards, che per oltre 16 anni ha beneficiato della sua guida, lo ha ricordato così:
“Jeff Margolis ha creato alcuni dei momenti più indimenticabili nella storia degli show televisivi. Gli saremo per sempre grati per il suo contributo e ci mancherà profondamente.”
Un’eredità di immagini e visione
Nel 1976 fondò la Jeff Margolis Productions, che ha prodotto serie e programmi per tutti i principali canali americani, dalla tv generalista alla via cavo. Tra i titoli più noti spiccano Fame per NBC, e In Search of the Partridge Family per VH1. Ma la sua vera firma resta nelle notti degli Oscar, nei sorrisi dei vincitori, negli sguardi commossi degli artisti sul palco, nella coreografia invisibile che ha reso memorabili centinaia di serate.
Margolis ha ricevuto due premi della Directors Guild of America per la regia degli Oscar, sei nomination agli Emmy e due vittorie. Eppure, è sempre rimasto umile, più interessato all’effetto collettivo che al riconoscimento individuale. Era, in fondo, il regista perfetto: presente ovunque, visibile da nessuna parte.