Il 15 dicembre nel quartiere Lambrate verrà inaugurata l'opera dedicata al capolavoro del cinema italiano. Un'opera scelta dalla comunità e voluta dalla Fondazione Cariplo che ha sostenuto il progetto all’interno del bando La Bellezza Ritrovata. Per l'occasione abbiamo intervistato SMOE, l'artista autore del progetto
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Il 15 Dicembre si inaugura a Lambrate il murales in ricordo di Miracolo a Milano. Il committente? La comunità. Sono state le associazioni, le parrocchie, la biblioteca di quartiere, i bar dell’angolo a volere l’enorme murales di 250 metri quadri dedicato al film Miracolo a Milano. E a scegliere l’immagine definitiva fra i bozzetti di tre artisti diversi è stata una giuria popolare composta di 5mila persone che hanno votato sui social, ma anche nelle piazze, fuori dalle chiese, nel circolo Acli di zona. Ha vinto il progetto dell’artista SMOE, lo stesso autore del grande graffito in zona Certosa che raffigura i lavoratori della pandemia. Come sottolineato da Cristina Chiavarino, direttrice dell’area Arte e Cultura di Fondazione Cariplo: "Il murales Miracolo a Milano non è solo un progetto artistico, che restituisce bellezza e memoria a un quartiere, ma un percorso che ha coinvolto l’intera comunità, a partire dall’inizio. È nato dalle aspettative e dai desideri di chi il quartiere lo abita. Per Fondazione Cariplo, che ha scelto di sostenerlo nel bando “La Bellezza Ritrovata”, il coinvolgimento della comunità è un elemento decisivo nell’educazione al rispetto e alla cura dei luoghi. Vivere in un paesaggio ritrovato migliora la vita delle persone e genera nuove spinte partecipative nei quartieri e nei territori".
Il Murales Miracolo a Milano, intervista a Smoe
A volte i Miracoli accadono. E non solo su grande schermo. Ma pure in realtà obnubilate. Come Via Valvassori Peroni 21. Non un luogo casuale, ma proprio quello in cui sorgeva l’area incolta dove Vittorio De Sica ha ambientato le baraccopoli di Miracolo a Milano. Un set che alcuni abitanti della zona ricordano ancora, c’è persino qualcuno che da bambino ha fatto la comparsa nel film, ma che molti impareranno a conoscere guardando le immagini che popolano il graffito: i volti di De Sica e Zavattini, le cineprese, che sono un omaggio alla macchina del cinema, “Il villaggio Brambi” e la celebre scena i cui i protagonisti del film prendono il volo a cavallo di una scopa. Ma erché i miracoli avvengano c’è bisogno di un mago. In questo caso il suo nome è Smoe. Un artista che con il suo talento ha ridato un’identità a un quartiere che la sera si spopola. Quando il film uscì era il 1951. Da allora i tempi sono mutati, ma non troppo. E con i colori della bellezza, SMOE ha risvegliato l’anima dormiente di un quartiere in cui è necessario creare sensibilità sociale. E l’arte, quando è autentica riesce a compiere un altro miracolo: quello di parlare a tutti e creare una condivisione autentica e non solo virtuale.
approfondimento
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Quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato nella realizzazione dell’opera?
Il cantiere, perché ci siamo trovati di fronte un’architettura molto particolare. Abbiamo utilizzato delle piattaforme particolari che in gergo si chiamano “ragni”, lavorando a 10 metri di altezza dal suolo. In più bisognava monitorare il passaggio delle persone.
Cosa significa per te il film Miracolo a Milano?
L’ho rivisto in occasione della partecipazione al concorso, ci sono alcune scene davvero suggestive di una Milano avvolta in una nebbia molto particolare che Vittoria De Sica ha descritto benissimo. Il film è molto attuale. C’è il tema della baraccopoli, quello del lavoro. È un’opera molto importante per la storia del cinema e ha anticipato molte tematiche, al netto delle tante difficoltà produttive affrontate da De Sica. Insomma, la pellicola rappresenta anche un bell'insegnamento, vista la caparbietà dimostrata nel realizzare un progetto in apparenza “folle”.
Che rapporto hai con Milano e quanto, seconde te, questo tipo di operazioni può aiutare la metropoli lombarda?
Innanzitutto, riqualificano spazi. Soprattutto per quanto concerne le periferie, c’è un grande lavoro di recupero. Con Milano ho un rapporto bello, idilliaco.
Immagino tu sia appassionato di cinema. Hai un genere preferito?
Mi piacciono i film biografici, amo le storie vere e assurde. Lungometraggi che ti fanno riflettere su quello che c’è stato prima di te e su come potrà essere il futuro. Opere come The Walk diretto da Robert Zemeckis, con protagonista Joseph Gordon-Levitt nei panni di Philippe Petit, il funambolo francese, che il 7 agosto 1974 compì la traversata delle Torri Gemelle del World Trade Center su un cavo d'acciaio senza protezione. Oppure Alì di Michael Mann, il film che racconta dieci anni della vita di Muhammad Alì. Amo anche Profumo di donna, sia nella versione di Dino Risi sia in quella di Martin Brest, e Detenuto in attesa di giudizio. Infine, trovo che “i film in bianco e nero possono risultare vecchi o addirittura pesanti, ma ti catturano dopo i primi 5/10 minuti. Sono incentrati sulla recitazione e non sulle tecniche sceniche o sugli effetti speciali. Se pensi a La Dolce Vita è un grande classico che si riguarda sempre volentieri.
Come è nata la tua passione per il writing?
Sin da piccolo a casa mia si respirava arte. Poi negli anni Novanta, con l’esplosione del Hip Hop in Italia, mi sono avvicinato al writing e ho iniziato a dipingere pareti e con il passare del tempo è diventata la mia professione, dalla street art al muralismo.
Infine, che rapporto hai con la musica?
Io sono un cultore di dischi soul e funk. Mi piace il jazz e la musica afroamericana. E poi ascolto l’hip hop italiano che ha fatto da colonna sonora a molti progetti. Per citare qualche album direi Doo Boop di Miles Davis, Playground di Michel Petrucciani, The Glow of Lowe dei Change, Reflection Eternal di Talib Kweli, 107 elementi di Neffa e Dalla di Lucio Dalla. Comunque, non potrei dipingere senza musica. Ascolto album usciti e classici come Jimi Hendrix oppure vengono degli amici e mettono in sottofondo pezzi composti da loro. È bello quando diverse forme artistiche si mescolano come succedeva all’inizio nel mondo dell’hip hop, si ballava la break dance, si suonava, si dipingeva. Bisognerebbe tornare a questo tipo di comunanza.