OnDance, Luciana Savignano dialoga con Roberto Bolle: “Danzerò ancora, c'è molto da fare"

Spettacolo

Valentina Clemente

In un incontro pubblico al Castello Sforzesco nell’ambito di OnDance, l’étoile si è aperta davanti al collega: dagli studi all’Accademia del Teatro alla Scala, alle creazioni con Mario Pistoni e Maurice Béjart e la bellissima affinità artistica con Jorge Donn, danzatore argentino scomparso in giovane età. Ma anche al futuro, a cui la danzatrice si affida, perché “voglio crescere ancora perché so che c'è molto da fare”

 

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Arriva sul palco accolta dagli applausi del pubblico presente al Castello Sforzesco, accompagnata dal suo bellissimo cane Kalu. Regale, come sempre. Elegante, dallo sguardo intenso e forte. Sembra quasi intimidita, ma bastano pochi istanti per riconoscere il cuore e l’anima di Luciana Savignano, una delle danzatrici e interpreti più importanti del XX e XXI secolo. Sì, perché l’étoile, musa di Béjart e interprete di racconti storici della danza, non ha alcuna intenzione di smettere. E questo è uno degli argomenti che affronta, con la sua serafica tenacia, nel suo dialogo con Roberto Bolle, étoile e ideatore di OnDance, festa della danza che si sta svolgendo a Milano. Savignano è una delle protagoniste, come del resto lo è la sua storia, di una bellissima chiacchierata in cui racconta di sé, della danza che scandisce la sua vita, dei coreografi e dei danzatori con cui ha lavorato.

"Consiglierei a tutti di fare danza"

Visibilmente emozionato quando la vede arrivare, Roberto Bolle chiede subito a Savignano quanto lei sia legata alla città di Milano e al Castello Sforzesco, dove lui è stato anche nominato Primo Ballerino al termine di uno spettacolo di Giulietta e Romeo. “Milano è una città che accoglie. Sono una romantica, anche se non si direbbe mai, guardandomi in scena”, dice l’étoile, di cui iniziano a scorrere anche alcune foto sullo schermo in fondo al palco. Un dialogo, quello tra le due stelle della danza, che parte con il racconto della storia artistica di Luciana Savignano che, durante gli studi all’Accademia, ha partecipato a un periodo di scambio culturale con Mosca, “una possibilità a cui io non ho avuto modo di aderire ma che tanto mi sarebbe piaciuto fare”, aggiunge Roberto Bolle. Un’opportunità molto importante, soprattutto perché – dice Savignano - “ho conosciuto ballerini bravissimi. Poi ho lavorato con la Signora Vassilieva, che ha cercato di contenermi un po’, visto che ero molto dinoccolata".

Il palcoscenico mi ha fatto capire che non bisogna avere paura di nessuno

"La danza mi ha fatto la terapia, consiglierei a tutti di fare danza" - aggiunge Savignano. "Nonostante io fossi timidissima, il palcoscenico mi ha fatto capire quanto si è privilegiati ad essere lì e non si deve aver paura di nessuno”. Neanche del giudizio dei colleghi, che è sempre “il più feroce”, dicono Bolle e Savignano all’unisono. E qui Roberto Bolle aggiunge: “Per me, provare in sala davanti ai colleghi, era molto difficile… Per te Luciana?” “Sai Roberto, Béjart osservava tutti quelli che guardavano le prove, e il giudizio dei colleghi era terribile”, ammette candidamente Savignano.

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"Lavorare con Béjart è sempre stato semplice, come se l'avessi fatto in un'altra vita"

“Ma lavorare con Béjart è sempre stato semplice, veniva tutto normale, come se lo avessi fatto in un’altra vita. Ho imparato a stare in scena. E con La luna Béjart ha proprio accolto la mia essenza, perché io mi pongo e mi nascondo. Quando sono stata da lui, alcuni anni fa, Maurice Béjart mi disse: 'Luciana, tu non sei la ballerina che finisce con i fouettes, tu potrai fare tante cose'. Ecco perché mi piace guardare sempre avanti”, dice sorridendo l’étoile. Lavorare con Maurice Béjart è stato essenziale per Luciana Savignano, il suo Boléro è indimenticabile e indimenticato. Boléro che anche Bolle porterà in scena l’anno prossimo al Teatro degli Arcimboldi, proprio con la Compagnia Béjart Ballet Lausanne. “Magari ne parleremo un po’ insieme”, aggiunge Savignano.

L'affinità artistica con Jorge Donn, le creazioni di Mario Pistoni

Un dialogo che prosegue con il racconto dell’affinità artistica con Jorge Donn, danzatore argentino scomparso molto giovane, una perdita molto dolorosa per Luciana Savignano che ammette “di non aver mai più ritrovato un’affinità così forte con un partner in scena. Lui poteva anche non toccarmi, ma ciò che mi trasmetteva era incredibile”. Affinità creativa che ha condiviso anche con il coreografo Mario Pistoni, con cui ha danzato Il mandarino meraviglioso e che per Savignano ha creato Concerto dell’albatro. “Un coreografo che non è ricordato abbastanza”, dice Luciana Savignano seguita dall’applauso del pubblico. 

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"La diversità è un valore aggiunto"

Si parla spesso di emozioni, di diversità “che è un valore aggiunto, e nella mia vita ho capito che nella danza ognuno è un caso a sé” ma anche dei momenti di spiritualità che l’étoile ha sempre cercato prima di ogni spettacolo. “Prima di ogni spettacolo mi sdraiavo per terra, da sola, nel silenzio più assoluto. Era un momento che mi mandava in estasi”, ammette l’étoile. Che aggiunge: “Ho sempre sentito la necessità di improvvisare, per trovare sfumature diverse. Questo significava anche fare delle piccole modifiche alle coreografie, e non sempre i maestri erano entusiasti. Infatti Alvin Ailey una volta mi disse “Luciana guarda che il coreografo sono io!”.

"Continuerò a danzare"

Un racconto che si avvia verso la fine e che vede Savignano parlare anche del suo percorso futuro di danzatrice: “Ho ancora la fiammella e so che devo ancora migliorare, andare avanti. Non so dove arriverò, ma so che lo voglio fare”, dice l’étoile, che conclude con una domanda a Bolle: “Roberto, il complimento più bello che ti hanno mai fatto? Poi ovviamente devi fare la stessa domanda a me!”.

“Saper emozionare”, dice Bolle. “A me, quando qualcuno dice che non sa nulla di danza, ma con il mio spettacolo si è emozionato… beh, quello è il momento più bello”, dice Savignano, tra gli applausi scroscianti del pubblico che, attraverso i racconti dell’étoile, ha vissuto nuove emozioni.

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