Stories, “Silvio Orlando - Cerco casa”. VIDEO

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L'attore, ospite della nuova puntata, si racconta al vicedirettore Omar Schillaci alternando aneddoti e riflessioni che ripercorrono la lunga carriera. "Interpretare Voiello per Sorrentino? Ogni volta che lo rivedo penso sia stato una specie di sogno". Sulla sua ultima fatica 'Ariaferma' rivela: "Avevo molta paura di calarmi in un personaggio così". E alla domanda su cosa gli manchi nella vita, risponde: "Sono ancora in affitto, le agenzie immobiliari hanno la mia foto segnaletica" 

È Silvio Orlando l’ospite della nuova puntata di “Stories” (LO SPECIALE - IL PODCAST), il ciclo di interviste ai protagonisti dello spettacolo di Sky TG24. Ospite del vicedirettore della testata Omar Schillaci, l’attore napoletano si racconta in “Silvio Orlando – Cerco casa ”, in onda venerdì 22 ottobre alle 21 su Sky TG24sabato 23 ottobre alle 13.25 su Sky Arte e sempre disponibile On Demand. Con la regia di Francesco Venuto, l’intervista alterna aneddoti e riflessioni che ripercorrono la lunga carriera di un emigrante arrivato a Milano a metà degli anni 80’ per inseguire un sogno, e arrivato a vincere, assieme a molti altri premi, la Coppa Volpi e due David di Donatello.

 

Dal 14 ottobre Silvio Orlando è al cinema con ‘Ariaferma’, film distribuito da Vision Distribution, ambientato in una carcere che sta per essere dismesso, dove sono rimasti solo alcuni agenti e pochissimi reclusi. Un ultimo impegno cinematografico in cui Orlando, protagonista insieme a Toni Servillo, veste il ruolo del leader dei carcerati. Un film dal quale l’attore è “uscito diverse volte, prima che iniziassimo le riprese. Avevo molte paure, un po' perché non avevo mai fatto un ruolo del genere, un po' perché non sono una persona superficiale. Di partenza dovevo essere molto credibile, e dovermi calare in un personaggio con un vissuto, con un’esperienza così lontana da me, che non fa parte del mio bagaglio di esperienze personale, mi ha creato molta ansia e paura”.

Il colloquio mostra il Silvio Orlando più intimo, tra aneddoti legati alla sua lunghissima carriera e divertenti confessioni, come quella che dà il titolo all’intervista. Rispondendo alla domanda su cosa gli manchi nella vita, Orlando ha risposto spiazzante “comprare una casa. Io sono in affitto – ha spiegato – ma io e mia moglie ci siamo incartati nella scelta: sono vent’anni che non la troviamo e non la troveremo mai. Le agenzie immobiliari del centro di Roma hanno la nostra foto segnaletica, non ce le fanno neanche più vedere. Più passa il tempo più questa casa dovrebbe rappresentare la nostra vita, la nostra ultima casa, dove devi avere dentro tutto quello che sei stato. Questo è il meccanismo che ci porta a non trovarla più e ci porterà a finire la nostra vita sotto un ponte”.

 

Un ‘monumento all’insicurezza’. Così si è definito Orlando: “qualunque attore ha dentro un grumo di insicurezza, che maschera in tanti modi. Per carità. Gassman ha ripetuto fino alla fine della sua vita ‘come sono andato?’, o insomma lo dicevano tutti quelli che lavoravano con Gassman, quindi abbiamo anche noi il diritto di essere insicuri. Ho fatto questo lavoro perché mi ritornava qualcosa di positivo, di forte, di accogliente, che riusciva a lenire un po' la mia insicurezza”.

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L’attore ha ricordato gli inizi della sua carriera, quando era un giovane “molto più sciolto, disinvolto, angosciato del proprio futuro, e al quale si erano spalancate improvvisamente le magiche porte della televisione commerciale”. Agli inizi legati alla comicità (“provengo totalmente dal comico”), sul quale lo stesso attore e un’intera generazione si sono interrogati “a cosa poteva essere utile. Non era solo far ridere e basta. Era un po' a cavallo tra cabaret e teatro”, è seguito un percorso non privo di ostacoli, come quando il gruppo nato intorno allo spettacolo ‘Comedians’ fu scritturato dall’agente Maurizio Totti per fare “delle cose tutti insieme, in televisione, Zanzibar, e poi tutti la serie di film di Gabriele Salvatores, come Marrakech Express, Turnè e così via”. Ma Silvio Orlando fu scartato: “io non c’ero perché quei film erano prodotti da un produttore che come prima cosa, quando Salvatores e Maurizio Totti sono andati a proporre questo gruppo, ha detto ‘parlatemi di tutti ma non mi parlate del napoletano’. La cosa bella è che questo produttore da cui ho subito un ostracismo era napoletano. Andando a Milano pensavo di essere sommerso e distrutto da ostracismi vari visto il periodo, gli anni 80’, la nascita della Lega lombarda, invece quella cosa lì mi ha potenziato: questo produttore napoletano mi ha creato un piccolo ostacolo, però dagli ostacoli poi nascono anche opportunità enormi”.

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Nell’intervista Orlando ha parlato anche della sua partecipazione alle serie Sky Original The Young Pope e The New Pope, create e dirette dal Premio Oscar Paolo Sorrentino“E’ una cosa che, quando la rivedo – ha detto -, è talmente incoerente con quello che c’è stato prima nella mia vita e con quello che c’è adesso che ho la sensazione che quella cosa lì sia stata una specie di sogno”. Sorrentino “è un tipo di regista che ti mette dentro a un secchio che tu riempi di ansie, paure e dolore. Aspetti che lui ti tiri fuori da questo secchio,  ma lui ti lascia a macerare e poi ti tira fuori al momento giusto. È un metodo che funziona, quasi tutti gli attori che recitano con lui fanno la cosa che non hanno mai fatto nel loro lavoro. È un diapason, un momento alto della propria carriera. Voiello è stato uno dei primi personaggi della maturità e poi si è creata proprio l’unanimità, un’apparente standing ovation. Tutti in piedi ad applaudire, che è poi quello che desidera l’attore, che vuole fermare il mondo: noi, nel nostro piccolissimo, abbiamo l’ambizione di fare una cosa per cui tutti rimangono paralizzati, e con Voiello forse è successo”.

 

Infine una chiusura che riprende l’inizio dell’intervista, con le immagini di Silvio Orlando che, nei giorni del festival di Venezia, è anche andato a presentare ‘Ariaferma’ all’interno di un carcere femminile. Il film, il carcere, un’esperienza che l’attore napoletano definisce essere “sempre significativa, perché non è un posto neutro come qualsiasi altro. È un posto di dolore, di sofferenza, di conflitto, di possibilità non espresse, di sospensione della vita delle persone. Si fa la più grande violenza che si può fare ad un essere umano: togliergli il senso della sua vita, il senso del suo tempo. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto è uguale all’altro, è sempre senza senso. Appena entri dentro un carcere lo senti, e bisognerebbe che le persone che dicono ‘buttiamo via le chiavi, facciamoli marcire dentro, fanno una bella vita’ li frequentassero di più”.

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