Valerio Binasco, il "video" fa bene al Teatro

Spettacolo

Bruno Ployer

@Photo Luigi De Palma

Allo Stabile di Torino il Teatro abbraccia il Video.  Si provano gli spettacoli che andranno in scena alla riapertura e si documenta il lavoro con riprese cinematagrafiche. 

Marito e moglie, molto anziani, invitano a casa per una serata importante ospiti illustri, personalità, amici. Preparano per loro le sedie, li accolgono, conversano. Gli ospiti però sono invisibili allo spettatore e gli unici oggetti presenti in scena sono appunto “Le sedie”. E’ questo il contesto del dramma di Eugène Ionesco che il Teatro Stabile di Torino prova e riprende in video, aspettando  di debuttare quando le sale potranno riaprire. Michele Di Mauro e Federica Fracassi sono i protagonisti di questo testo, tutto in penombra, che ci parla di una realtà nascosta o inesistente, di una assenza che priva il mondo dei suoi significati. Regista dello spettacolo è Valerio Binasco, direttore artistico dello Stabile di Torino.

Anch’io ho davanti a me una sedia vuota quando lo intervisto, ma l’incontro si svolge lo stesso grazie al collegamento in rete.

Ionesco e quelle sedie vuote

Valerio Binasco, forse la mia è un’osservazione superficiale, ma quelle sedie vuote sul palcoscenico mi fanno pensare alle sedie vuote nelle platee di tutti i teatri. Lei che ne dice?

“Credo che ‘Le sedie’ sia in questo momento il testo che più di tutti rappresenti in termini metaforici e poetici la nostra situazione. Il legame è prodigioso anche in senso poetico e spirituale. La tensione che esprime questo testo sembra dirci qualcosa che riguarda la nostra realtà di teatranti e di persone che attendono di reincontrarsi alla fine della fine del mondo. I protagonisti sono in due e parlano tra loro: sono marito e moglie e si amano moltissimo, hanno passato la vita insieme. Hanno bisogno che questa esistenza, apparentemente insignificante, inutile e per questo assurda, si manifesti davanti allo sguardo di qualcuno, cioè 'gli altri', coloro che ci guardano vivere, ci ascoltano, raccolgono le tracce della nostra vita.                        I protagonisti aspettano che qualcuno arrivi: non sapremo mai se sono presenze immaginarie o reali, ma si tratta di un giorno miracoloso per questi due vecchietti, perché finalmente l’umanità si fa viva dentro la loro casa.”

 

 

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Lei ha pensato a realizzare questo ‘Le sedie’ durante la pandemia.  L' atmosfera la ha influenzata?

“Non sono tra coloro che si sono messi a pensare a cosa sta accadendo: in primo luogo perché non mi fido di quello che penso e poi perché sentivo che intorno a me c’era una valanga di pensieri. In silenzio mi sono messo in ascolto rispetto a questa lunga tragedia che ci sta colpendo. Quando ho deciso di fare 'Le sedie' non credevo che questo fosse il mio contributo nel raccontare il nostro momento, ma nel rileggere il testo avevo sentito emozioni nuove alle quali non avevo voluto dare una forma logica. A un certo momento mi sono trovato di fronte a un' evidenza: insieme ai miei straordinari attori stavo parlando di ciò che ci sta succedendo, ma senza adoperare la lingua del contemporaneo o della cronaca. Ionesco sin da subito si è messo a scrivere in un modo che ha fatto presto a diventare classico, poetico e metaforico.”

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Avete anche prodotto i video dei vostri lavori. Non era una pratica comune prima della pandemia. Cosa ha significato per voi?

"In Italia si era persa l’abitudine di riprendere con tecnica cinematografica gli spettacoli teatrali, cosa che invece continuava a succedere all’estero con produzioni che lasciano a bocca aperta. La nostra esperienza è stata molto bella, perché in questo periodo di chiusura ci mancava il modo di trasmettere al pubblico il nostro lavoro. Trovo che questo faccia bene al Teatro. So che c’è una polemica in corso: è chiaro che l’esperienza fisica ed emotiva è insostituibile, perché il teatro prima di tutto è un luogo preposto a un viaggio particolare che si può fare solo lì; il video non sostituirà mai quell’impatto. Anche vedendo uno spettacolo sul web però si può avere un’esperienza forte, che altrimenti non si sarebbe potuta avere. E’ successo anche a me, ad esempio per il “Macbeth” con Kenneth Branagh: un' esperienza virtuale che mi ha dato emozioni teatrali. Quindi non penso che traghettare il teatro nelle forme del video lo possa danneggiare. In più,  quando c’è la macchina da presa gli attori sono costretti a rinunciare agli eccessi di espressioni che talvolta il teatro permette: la ripresa abbassa la tentazione gigionesca. Certo, l’incontro fra Teatro e Video non è sempre buono: ci vogliono registi e operatori che ci vengano incontro.”

Le riprese delle prove del vostro spettacolo mi hanno restituito il senso di un rito che è diventato tristemente segreto: quello della recita sul palcoscenico…

“Sì, è molto strano anche per noi. Io sono tra i privilegiati che hanno lavorato tanto, ma lavorare per un teatro vuoto è un’esperienza molto strana: molto rituale, non c’è dubbio.  La normalità avrà un sapore completamente nuovo, come quando hai molta sete e scopri che l’acqua è la cosa più buona del mondo. La ritualità teatrale ci sembrerà commovente, nonostante la sua millenaria semplicità.”

Vorrei sapere i suoi pensieri sulla crisi terribile che sta colpendo i suoi colleghi lavoratori del teatro. Vorrei sapere anche se esiste una qualche forma di solidarietà fra voi.

“E’ un periodo cruciale per noi che abitiamo quest’isola del Teatro e dello spettacolo dal vivo. Siamo un ‘noi’ fatto di singoli, molto arroccati sulla propria specificità, è difficile creare una squadra.  Da molti anni la nostra isola è assediata da persone che vogliono fare della cultura un fenomeno peggio che secondario nella vita sociale. La pandemia ci ha unito molto: vedo che ci sono gruppi estremamente battaglieri, quasi dei nuovi sindacati. C’è stato molto confronto su questo tema. Il vero colpo di scena sarebbe se il mondo del Teatro si unisse davvero: attori, produttori, tecnici non contrapposti, ma costituiti in un gruppo di lavoratori con rivendicazioni semplici, nette e importanti. Quando saremo ripartiti ci vorrà tempo per sanare le ingiustizie subite e lasciar trascorrere i nervosismi che sono intercorsi fra teatri pubblici e privati. Dovremo però combattere per un aumento dei fondi pubblici per aiutare lo Spettacolo:  si metterebbe così in tranquillità un settore lavorativo che oggi, per sopravvivere, è costretto talvolta a usare i giovani attori quasi a livello di sfruttamento o a ridurre le produzioni. E’ un peccato: il patrimonio del Teatro italiano è straordinario e viene talvolta strangolato dall’indifferenza della politica. Noi non siamo un settore a traino, siamo un servizio e da tempo soffriamo: anche prima della pandemia molti erano al livello di minima sopravvivenza. La produzione teatrale costa molto: se non ci fosse il contributo pubblico un biglietto per uno spettacolo costerebbe  allo spettatore forse 150 Euro, non 25."

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