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Tosca alla Scala, dieci curiosità su Giacomo Puccini. VIDEO

Spettacolo

Chiara Ribichini

Amava le automobili, era un dandy ma anche un “toscanaccio” vero. Ha sofferto la povertà, tanto da non potersi permettere un abbonamento alla Scala, ma poi è diventato ricco grazie alle sue opere. Tra aneddoti e testimonianze ecco chi era il celebre compositore di Lucca

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Amante della caccia, delle automobili e delle donne. Un dandy elegante e buongustaio dall’umorismo tipicamente toscano. Giacomo Puccini, il celebre compositore della Tosca che inaugurerà la stagione 2019/2020 del Teatro alla Scala di Milano con la direzione di Riccardo Chailly e la regia di Davide Livermore (DIETRO LE QUINTE - FOTO), ha avuto tante passioni oltre, ovviamente, alla musica. Tra aneddoti e curiosità il professore Andrea Grassi, che si occupa della formazione musicale dei vari corsi dell'Accademia del Teatro alla Scala di Milano, ci ha fatto un ritratto inedito del maestro. Lo stesso ritratto che è stato usato da Elio per raccontare Puccini al Teatro PuntoZero Beccaria.

1 La passione per le automobili

Oltre alla musica Puccini aveva una grande passione: le automobili. Ne ha acquistate 14, tra cui una meravigliosa Isotta Fraschini e alcune Fiat. Nella foto del 1902 è a bordo di una De Dion Bouton di 5 cavalli. Macchine molto belle e sicuramente costose che non gli permettevano però di andare fuori strada, cosa che amava fare durante le sue battute di caccia. Così chiese a Vincenzo Lancia di creare appositamente per lui un’automobile con telaio rinforzato e ruote adatte. Una sorta di primo suv. Gli costò 35 mila lire, l’equivalente di circa 150 mila euro di adesso.
Il 25 febbraio del 1903 a bordo di una delle sue automobili, una Clement Bayard, insieme con la moglie Elvira e il figlio Antonio, fece un brutto incidente stradale di ritorno da Lucca a Torre del Lago, dove viveva. L’auto finì in un fosso e Puccini si ruppe una gamba, rallentando per diversi mesi la stesura della Madama Butterfly.

2 Non solo auto ma anche case, barche e yacht

Puccini era un vero e proprio “spendaccione”. Oltre alle 14 automobili acquistò sei case, cinque barche a motore e un costoso yacht che chiamò Cio-Cio-San che è il nome della geisha protagonista di Madama Butterfly. La ricchezza arrivò proprio grazie al successo delle sue opere composte per lo più nella pace di Torre del Lago, piccola località di cui si innamorò subito dopo aver trascorso lì un periodo di villeggiatura. Comprò così l’antica torre, da cui prende il nome il paese, e la trasformò in una dimora dotata di tutte le modernità dell’epoca: elettricità, telefono, termosifoni centralizzati. Davanti alla cancellata della sua villa aveva una piccola rimessa proprio per le barche. Pescatori e cacciatori erano compagni abituali del maestro.

3 La povertà 

Automobili, case, barche, yacht. Puccini nella sua vita ha sostenuto spese elevate per soddisfare le sue passioni. E forse fu anche una reazione alla povertà e alle ristrettezze patite in gioventù. Non nacque infatti in una famiglia benestante, tutt’altro. Rimasto presto orfano di padre, da cui ricevette i primi insegnamenti musicali, in una lettera alla madre quando aveva poco più che 20 anni, si lamenta di non potersi permettere un abbonamento alla Scala che allora costava 130 lire, circa 600 euro di oggi. Proprio lui. E ancora in un’altra lettera le scrive: “Ho da pagare 15 giorni di pensione e se vengo a Lucca mi ci vogliono 20 lire per riscattare l’orologio e lo spillo che sono… a respirare aria di monte” (con riferimento al monte di pietà dove aveva dato come pegno un orologio e una spilla).
Così nel 1876, quando aveva solo diciotto anni, fece a piedi da Lucca a Pisa insieme con gli amici per andare a vedere l’Aida non potendosi permettere né un biglietto del treno né tantomeno una carrozza. L’opera di Verdi fu per lui una vera e propria folgorazione e in quel momento capì che quella sarebbe stata la sua strada. “Il Dio santo mi toccò col dito mignolo e mi disse: ‘Scrivi per il teatro, bada bene, solo per il teatro’. E ho seguito il Supremo consiglio” racconta in una lettera.

4 Un maestro buono e generoso

Puccini era un uomo buono ed estremamente generoso. Così si lamentava di non poter aiutare la sorella rimasta vedova dopo appena sei anni di matrimonio: “E’ morto Alberto Marsili e la povera Ninetti è rimasta in miseria completa. Poverina! Almeno fossi in grado di aiutarla! Ma colla bolletta che tira è già un miracolo che sbarco il lunario. Sono stufo di lottare contro la miseria, sempre!”. Smetterà di lottare contro la miseria grazie al successo delle sue opere. E riuscirà presto a dare a sua sorella un assegno annuale. Non solo. Riuscirà a ricomprarsi anche la casa natale che era stato costretto a vendere.
Un altro esempio della bontà del maestro arriva da un ritratto che ne fa il grande compositore russo Igor Stravinskij: “Quando mi presi il tifo e mi misi a letto, Puccini fu una delle prime persone che venne a farmi visita (a differenza di qualche amico che per paura del contagio non si era fatto vedere). Era un uomo affettuoso, un gentleman affabile e democratico”.

5 Un dandy elegante e buongustaio

Sempre Stravinskij racconta: “A una rappresentazione di Petrouschka a Parigi fui presentato a Giacomo Puccini. Puccini, uomo imponente e di bell’aspetto anche se un po’ troppo dandy, fu subito molto cortese con me”.
L'origine toscana di Puccini lo rese amante del buon cibo. Secondo diverse testimonianze mangiava di tutto, non solo la selvaggina che si procurava con la caccia. Amava soprattutto i cibi della sua terra, tra cui i fagioli tanto da mandare al suo amico ed editore Giulio Ricordi una ricetta specificando di aggiungere alcuni ingredienti come foglie di salvia o teste d’aglio.

6 Cacciatore di uccelli selvatici, libretti d’opera e belle donne

Puccini stesso amava definirsi “un cacciatore potente di uccelli selvatici, libretti d'opera e belle donne” per riassumere le sue principali passioni. In realtà, pur avendo avuto molte avventure sentimentali, Puccini rimase sempre legato alla sua Elvira, da cui ebbe l’unico figlio: Antonio. Era una donna sposata con un commerciante che nel nel 1886 abbandonò il marito per lui. Solamente nel 1904, dopo la morte del marito, i due poterono legalizzare la loro convivenza e legittimare il figlio Antonio, che aveva già compiuto i 17 anni. Dopo la nascita del figlio Puccini, per proteggere Elvira dal chiacchiericcio (all’epoca i figli fuori dal matrimonio erano sicuramente oggetto di polemiche), decise di andare a vivere a Monza.

7 Un simpatico "toscanaccio"

Puccini era sicuramente un uomo simpatico e con un forte senso dell’umorismo. Tra i suoi amici troviamo persone di ogni rango: colleghi, artisti, nobili, negozianti, preti e proprietari terrieri. Era abituato a scrivere lettere in rima e, da toscano verace, era anche solito aggiungere qualche parola un po’ scurrile. Così in una lettera a uno dei suoi librettisti, Giuseppe Giacosa, durante la composizione di Tosca: “Vien con me! Voglio portarti colle mie braccia con forze arcane fino a Cirié (in Piemonte)… sino alla morte inver baciarti voglio i piè …. amo la donna grassa per suo dedrè”.

8 Le filastrocche "senza senso" per i librettisti

Di rime divertenti inviate ai suoi librettisti, Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, ne sono rimaste tantissime. Vere e proprie filastrocche senza un significato apparente. Un modo in realtà per suggerire la metrica, la scansione ritmica, che voleva che usassero nei versi. Così scriveva a Giacosa per spronarlo a trovare una soluzione nel finale di Bohème: “Ti rammento l’atto quarto perché io presto me ne parto. Cerca, trova taglia inverti che tu re sei fra gli esperti. Ti ricordi di ridurre la scenetta in cima all’atto? Quando tutto sarà fatto gran sospiro emettere! Ma la morte di Mimì solo tu puoi preparar. Poi con quattro do re mi lancerei la barca in mar!”.

9 Una grande apertura intellettuale

Puccini aveva anche una grande apertura intellettuale. Stravinskij: “Aveva detto a un amico e ad altri che la mia musica era orribile ma, nello stesso tempo, piena di talento”. Così Arnold Schoenberg: “Ebbi sì l’onore che Puccini affrontò un viaggio di sei ore (da Lucca a Firenze), per conoscere la mia composizione (il Pierrot Lunaire) e mi disse in seguito molte cose amichevoli. E’ stato bello, anche se la mia musica doveva essergli rimasta estranea”.

10 La gratitudine a Toscanini

Infine era una persona che sapeva essere grata, come dimostrano le parole che scrisse ad Arturo Toscanini dopo che aveva diretto una recita di Manon alla Scala nel 1923: “Tu mi hai dato la più grande soddisfazione della mia vita! La tua interpretazione è al di sopra di quanto io pensai … Proprio ho sentito iersera tutta l’anima tua grande e l’amore per il tuo vecchio amico e compagno delle prime armi. Io sono felice perché tu hai, sopra tutti, saputo comprendere tutto il mio spirito giovane e appassionato di trent’anni fa. Grazie dal profondo del cuore”.