Mercurio, svelata la natura delle sue ‘cicatrici’

Scienze
Mercurio (Getty Images)
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“Determinare la natura di queste strutture è una grande sfida, in quanto è estremamente complicato capirne il meccanismo di formazione”, spiega la dottoressa Alice Lucchetti dell’Inaf di Padova 

Le 'cicatrici' del primo pianeta del Sistema Solare sono i segni dell’antica erosione superficiale. La missione Mercury Surface, Space ENvironment, GEochemistry e Ranging della sonda Messenger della Nasa ha fornito, nel 2010, la prima visione dettagliata della superficie di Mercurio e del suo ambiente spaziale. Tra le scoperte, ha scovato la presenza di insolite incavature simili ai laghi terresti prosciugati.
Sulla scia di questa rivelazione, un team di ricercatori italiani, coordinato da Alice Lucchetti, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) di Padova, ha indagato approfonditamente sulla natura dei cosiddetti ‘hollow’. Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Geophysical Research: Planets, dimostra che le incavature si sarebbero originate in seguito all’evaporazione di alcuni elementi dal sottosuolo del pianeta.
Gli incavi sono dunque delle cicatrici lasciate da antichi processi erosivi avvenuti sullo strato superficiale di Mercurio. Questi ultimi sono dovuti alla particolare composizione del terreno del pianeta e alla sua vicinanza al Sole.

La ricerca nel dettaglio

Gli ‘hollow’ si trovano soprattutto nei crateri d’impatto. Per compiere la ricerca, frutto della collaborazione tra Inaf, Enea e le Università di Padova e Parthenope di Napoli, gli esperti hanno analizzato le mappe geologiche di Mercurio. Dalle loro osservazioni è emerso che le depressioni, particolarmente brillanti e poco profonde, sono concentrate maggiormente all’interno dei crateri d’impatto.
Per delineare la composizione chimica degli ‘hollow’ si sono concentrati sullo studio della luce riflessa dalla superficie delle depressioni. Nello specifico hanno analizzato i crateri chiamati Velasquez, Dominici e Canova. Hanno così scoperto la presenza di composti di zolfo, cromo, titanio e nichel.

Studio del pianeta più vicino al Sole

“Determinare la natura di queste strutture è una grande sfida, in quanto è estremamente complicato capirne il meccanismo di formazione”, spiega la dottoressa Lucchetti dell’Inaf. Lo studio degli ‘hollow’ è di fondamentale importanza perché fornisce un largo numero di informazioni riguardanti l’origine del primo pianeta del Sistema Solare. Prossimamente verrano effettuate delle successive analisi chimiche al fine di ampliare le conoscenze su questo tema. Una delle prossime missioni, che verrà lanciata nel mese di ottobre 2018, è quella Bepi Colombo, delle Agenzie spaziali europea Esa e giapponese Jaxa.

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