Questi corpi celesti sono un prodotto residuale della nascita del Sistema Solare. La loro formazione, risalente a più di quattro milioni di anni fa, si è verificata nelle regioni più esterne del sistema planetario, oltre le orbite di Marte e Giove
Tra i vari corpi celesti che è possibile ammirare osservando il cielo notturno, le comete sono alcuni dei più riconoscibili e studiati dai ricercatori. Sono un prodotto residuale della nascita del Sistema Solare e la loro formazione, risalente a più di quattro miliardi di anni fa, è avvenuta nelle regioni più esterne del sistema planetario, oltre le orbite di Marte e Giove. Un’origine diversa da quella degli asteroidi, che invece si sono formati nelle regioni più interne, dove le temperatura sono più elevate e solo la roccia e il metallo possono rimanere allo stato solido senza sciogliersi. Fin dalle prime fasi della formazione del Sistema Solare, i nuclei cometari sono stati confinati nella Nube di Oort, una regione pressoché sferica che si estende fino alla distanza di circa 1.6 anni luce dal Sole, che rappresenta il serbatoio delle comete di lungo periodo, e nella fascia di Kuiper (che si estende fra le 30 e le 50 unità astronomiche), da cui sono originate quelle di corto periodo. Si ipotizza che la sola Nube di Oort contenga migliaia di miliardi di comete, la cui massa totale supererebbe quella di 5 Terre messe assieme.
Le caratteristiche della coda delle comete
Quando si avvicinano al Sole, questi corpi celesti producono una chioma che si estende per centinaia di migliaia di chilometri. Questa caratteristica, che affascina l’uomo sin dall’antichità, può indurre a farsi un’idea sbagliata delle effettive dimensioni delle comete. Il loro nucleo centrale, infatti, misura pochi chilometri e la lunghissima chioma visibile nel cielo è dovuta alla luce solare diffusa dalla polvere cometaria, un insieme di silicati, solfuri, ossidi e materiali organici. In prossimità del Sole, i ghiacci di acqua e anidride carbonica presenti nel corpo celeste sublimano, portando con sé le polveri. Al massimo avvicinamento all’astro si raggiungono picchi di perdita di massa che variano tra i 100 e i 10mila kg al secondo. Un fenomeno che porta le comete a spegnersi, se la polvere forma una crosta interrompendo così l’attività di sublimazione, o a frammentarsi in tempi relativamente brevi. Per molti anni si era ipotizzato che le comete fossero composte prevalentemente di ghiaccio, ma i dati raccolti durante la missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) hanno dimostrato che l’abbondanza delle molecole gassose non supera il 20% della massa totale del nucleo cometario.
Le informazioni fornite dalla missione Rosetta
La missione Rosetta, iniziata nel 2004 e proseguita fino al 30 settembre 2016, ha permesso di raccogliere numerosissime informazioni nuove sulle comete. Dai dati ottenuti, per esempio, è emerso che gli effetti stagionali svolgono un ruolo essenziale nell’evoluzione del nucleo cometario, soprattutto a causa dell’eccentricità dell’orbita del corpo celeste, che determina forti disomogeneità nel bilancio energetico dei due emisferi. I risultati hanno anche permesso ai ricercatori di comprendere l’importanza dei processi di trasporto di materia tra le varie parti del Sistema Solare primordiale. La componente solida del nucleo contiene infatti dei minerali (solfuri e silicati magnesiaci) che si formarono a temperature elevate nelle regioni più interne della nebulosa protosolare, “mischiati” a materiale organico proveniente da aree molto più fredde, situate a più di 20 unità astronomiche di distanza. Non sono ancora chiari i processi che hanno reso possibile il trasporto di materia tra zone così lontane.
Tutte le comete potrebbero avere un’origine comune
L’origine delle comete è il tema centrale di un recente studio, pubblicato sulle pagine della rivista specializzata Astronomy & Astrophysics, che è stato condotto da un team di ricerca internazionale guidato dall’Università di Leida. Dopo aver raccolto informazione su 14 delle comete più conosciute, gli esperti hanno paragonato la loro composizione con alcuni modelli chimici e sono arrivati una conclusione: questi corpi celesti potrebbero essere nati tutti in un’area in prossimità del Sole, quando la stella era ancora giovane e circondata da un disco protoplanetario. Nel corso dello studio, i ricercatori, sotto la guida dell’astronomo Christian Eistrup, hanno confrontato i modelli chimici a loro disposizione con i dati pubblicati sulle comete, per determinare se quest’ultime appartengano tutte allo stesso gruppo o rientrino in diverse sottocategorie. Pur avendo un’origine comune, in molti casi le molecole hanno preso de percorsi molto diversi: ciò potrebbe dipendere da elementi di disturbo, come ad esempio Giove, che avrebbero portato questi corpi celesti a percorrere orbite differenti.