L'astronauta Roberto Vittori: "Sogno di andare sulla Luna con SpaceX"

Generale Vittori, lei sta per tornare per l’ennesima volta in Texas. Perché? Sì, il Texas è molto inospitale, ma ha attirato tanta dell’energia positiva statunitense in fatto di spazio, con SpaceX che a Boca Chica ha creato Starbase, posto poco piacevole, però è dove nel bene o nel male si gioca la nostra possibilità di arrivare sulla superficie della Luna e quindi essere lì e assistere a questo approccio totalmente innovativo è interessante. Giri per una stradina nel nulla e vedi questi Starship giganti tutti in attesa del loro turno per salire sulla rampa di lancio. Va spesso negli Stati Uniti: dal suo punto di osservazione, quali sono le realtà che stanno facendo il futuro dell’esplorazione spaziale? Gli Stati Uniti sono una realtà in continua evoluzione. Cosa sta succedendo? Se devo scattare una fotografia noi abbiamo conosciuto la space economy con l’ingresso dei privati, anche se ormai sono passati vent’ anni. SpaceX è nata il 15 marzo del 2003 e anche se siamo sempre abituati a considerarla nuova e giovane ormai non lo è più. Oggi SpaceX è la realtà forte, ma la domanda vera è: sarà così anche domani? Siamo portati a pensare a Musk come l’innovatore ed è possibile che SpaceX continui ad avere la forza di rinnovarsi, ma nel momento in cui io cresco una società e la società diventa importante, con persone che vent’anni fa erano giovani e poi il tempo passa, ecco che SpaceX è cambiata, sia come identità sia come struttura. Perché parlo di SpaceX? perché è il principale attore, e allora quale potrebbe essere in futuro la sua alternativa? Sono gli spin-off, i giovani che sono usciti dalla società di Musk e hanno creato altre startup: soprattutto in California è interessante vedere tutte queste realtà, con ex dipendenti che hanno reinvestito i soldi guadagnati lavorando per SpaceX, che certo non sono tutto nella vita ma restano importanti, per creare startup che fanno varie cose. Soprattutto si guarda alla Luna e alla sua superficie, anche se la conditio sine qua non resta lo Starship di Boca Chica: lo scorso tredici ottobre abbiamo seguito l’undicesimo lancio, un successo pieno, con immagini bellissime. Noi vorremmo che SpaceX ci avesse già portato sulla superficie lunare, ma in realtà così non è. A che punto siamo con questa tecnologia e che cosa rappresenta per il futuro oltre l’orbita bassa? Immagini bellissime, dicevo, accensione dei 33 motori Raptor che hanno funzionato perfettamente, distacco del primo e del secondo stadio, arrivo al di fuori dell’atmosfera e la capacità di mettere in orbita i satelliti Starlink, con rientro e atterraggio simulato, in realtà splashdown. Un successo, viviamo la storia in tempo reale, ma in realtà la differenza tra il decimo e l’undicesimo lancio facciamo fatica a vederla: noi ci aspettiamo sempre più di quello che è possibile da SpaceX, ma l’aspettativa vera resta quella di vedere l’inflight refuel, due navette che si scambiano per la prima volta della storia il carburante in volo, un passaggio importante per arrivare sulla Luna. Perché le leggi della fisica restano le leggi della fisica e lo Starship, 5 mila tonnellate, è gigantesco, e nonostante l’enorme massa di carburante, per arrivare in orbita lo usa praticamente tutto, e allora il problema diventa come raggiugere da lì alla superficie lunare o marziana. Abbiamo bisogno del cosiddetto rifornimento in volo, una cosa che nel mondo aeronautico è normalità, i piloti sanno come fare, ma nel mondo astronautico non lo abbiamo mai fatto. Si tratta della prossima sfida di Elon Musk, quello che continueremo ad aspettarci, perché altrimenti Starship resterà sì una macchina incredibile ma limitatamente alle orbite terrestri. Cosa che mette in evidenza un altro dei tanti aspetti di Elon Musk, ovvero l’imprenditore che pensa al business. Quei simulacri di satelliti messi in orbita pochi giorni fa durante l’ultimo test di Starship erano particolarmente grandi: forse Starlink sta cambiando identità e sta cercando di fare qualcosa di differente? È possibile. Negli Stati Uniti, compagnie come T-Mobile offrono il servizio telefonico direttamente da satellite, e allora Starlink avrà la forza di conquistare non il mercato Internet, ma la telefonia attraverso i cellulari? Per ora è più uno scenario ipotetico che concreto, ma SpaceX e Elon Musk hanno già dimostrato di poter realizzare quello che ingegneristicamente non è ancora stato fatto. È possibile che la prossima, grande frontiera di SpaceX, dunque, non sia sul fronte del trasporto interplanetari, ma su quello delle telecomunicazioni globali. Elon Musk, quindi, è tornato a fare l’imprenditore spaziale? Difficile parlando di Elon Musk, predire quello che farà il giorno dopo, ma indietro nel tempo non si torna e credo che in lui la figura di inventore, imprenditore e uomo politico continueranno a convivere per sempre, ma parlando degli Stati Uniti, in generale continuano a rappresentare un’opportunità anche per noi dal punto di vista dei rapporti con il mondo della ricerca e dell’Università. Qual è il punto di incontro tra un gigante come SpaceX e il ricercatore universitario? È l’idea, noi abbiamo bisogno adesso di capire come sfruttare l’opportunità che viene dalle risorse extra-atmosferiche, a partire dalla superficie lunare. Musk sta cercando di risolvere il problema del trasporto e di costruire questa autostrada a pagamento tra la superficie terrestre e la superficie lunare o marziana, ma, dobbiamo capire cosa andiamo a fare, questa è la prossima sfida, e la Cina l’ha capito perfettamente. La Nasa ha presentato ufficialmente la missione Artemis II, con una finestra di lancio prevista tra febbraio e aprile del 2026. Finalmente si parte per la Luna, come ha detto il comandante Reid Wiseman al resto dell’equipaggio? È probabile che alla fine riescano a fare almeno una missione dimostrativa, ma che ci sia un programma in scia, più passa il tempo più mi sembra difficile che accada. Noi ci stiamo concentrando sul sistema di lancio SLS e sulla navetta Orion, che probabilmente però non sono la risposta giusta, perché la Space economy come l’abbiamo conosciuta negli ultimi venti anni ha raggiunto la sua maturità e fa difficoltà ad andare oltre. Il Falcon 9 con la sua tecnologia del riutilizzo del primo stadio è la migliore espressione di questo ventennio positivo, ma non è uno strumento per l’utilizzo sistematico delle risorse extra-atmosferiche, è per questo Elon Musk ha pensato a Starship, che però fa fatica a dimostrarsi un’opportunità in questo senso. Il grande successo del test numero undici del 13 ottobre resta ancora un volo suborbitale. Lei in un recente articolo ha parlato dei lifting bodies, già sperimentati negli anni Sessanta: veicoli riutilizzabili, più sicuri ed economici. Di che si tratta? Lo Shuttle era un esempio di lifting bodies, Si tratta un aeroplano con le ali piccole piccole, e devo farle così perché durante il rientro atmosferico altrimenti si bruciano, però servono perché il rientro atmosferico se nella parte alta è sopravvivenza nella parte bassa è manovrabilità. Quindi, nella parte alta sarebbe meglio non avere le ali, ma poi nella parte bassa hai bisogno o del paracadute o dei motori, come ha cercato di fare Elon Musk; le immagini del Super Heavy di SpaceX che viene preso al volo al rientro sono molto belle, ma l’atterraggio di un aeroplano resta il modo più naturale per lavorare all’interno dell’atmosfera, usando in positivo le forze aerospaziali. Il futuro necessariamente vedrà qualcosa che è più simile allo Shuttle e l’era dello Shuttle, che è arrivato prima del suo tempo, tornerà. Anche Starship in alcune versioni aveva delle alette piuttosto evidenti, poi per motivi di praticità, e SpaceX e Elon Musk hanno sempre puntato al risultato, sono scomparse, ma dovranno necessariamente tornare. L’atterraggio in verticale di un gigante come Starship, anche se tecnicamente fattibile, difficilmente diventerà il modo normale per far atterrare astronauti e quindi dovrà esserci un ripensamento; adesso siamo arrivati un po’ a un collo di bottiglia perché gli Stati Uniti hanno fatto questo errore storico di abbandonare completamente il programma Shuttle e giustamente i privati, Elon Musk in primis, hanno puntato sull’architettura più semplice con questo ibrido che è Starship, che di fatto è a metà tra una capsula e un razzo e una sorta di minimo lifting body, ma senza una sufficiente capacità aerodinamica per l’atterraggio. Il nostro Paese che ruolo potrebbe avere in questo scenario? La presenza dell’Italia è sempre stata una costante, nel settore spaziale è dappertutto e speriamo continui così. Io credo molto nelle Università e nei centri di ricerca e credo molto al concetto di startup, che è l’equivalente dei ragazzi di SpaceX che escono e creano le loro startup. Noi non abbiamo SpaceX, ma abbiamo i nostri ragazzi: la figura del ricercatore-imprenditore è molto bella e devo dire che anche se il sistema in Italia non è facilissimo, la burocrazia è sempre burocrazia, c’è comunque spazio per ottenere finanziamenti, per avere il minimo che serve per crescere. Chiaramente non siamo gli Stati Uniti, ma le condizioni ci sono. Le agenzie spaziali sono state gli attori che hanno interpretato e reso possibile il grande successo dell’era della Stazione Spaziale Internazionale, e il grande successo degli ultimi venti, trent’anni è merito loro, ma adesso fanno fatica ad interpretare il futuro, Nasa compresa, quindi non è chiaro quale sarà il loro ruolo negli anni a venire, speriamo che non siano dei freni e speriamo che la nostra ricerca e il nostro mondo universitario tornino ad avere lo spazio e l’attenzione che meritano. Parlando di giovani, il Vittori ragazzo come si è appassionato allo spazio? Il Roberto Vittori ragazzo nasce a Pisa, per caso, studiando fisica. Mi appassionava l’antimateria e cos’è l’antimateria? Se io ho una mano e un’anti-mano, le metto assieme e produco un’energia. Questa cosa mi appassionava incredibilmente: noi vediamo il nostro Universo, ma in teoria deve esserci anche un anti- universo. È così che è nato il Vittori, pensando a cose astratte, lontane, impossibili. Poi un giorno è successa una cosa molto più da piedi per terra: l’Aeronautica militare e il volo. Io ero bravo in matematica, ma non avrei mai pensato di essere capace di volare, di fare il pilota, una cosa bella, che appassiona… però ho fatto domanda, perché il mio motto è che l’unico modo certo di non riuscire è non provare. Così, casualmente, è iniziata tutta una strada complicata, poi sono stato selezionato dall’Agenzia Spaziale Italiana come astronauta e ironicamente nella mia terza missione spaziale, quella del 2011, ho portato in orbita lo strumento AMS, che è un cercatore di antimateria, e a ripensarci ora il mio è davvero molto strano come percorso. Lei è stato tre volte nello spazio. Che tempo è stato e quanto ha contato nella tua vita? Non ho mai contato i giorni, lo leggo da Internet, le mie sono state tre missioni di breve durata e mi piace distinguere tra il pilota e il marinaio. Il pilota è colui che porta l’aereo, mentre il marinaio è colui che resta per molto tempo in mare: l’era della Stazione spaziale ha messo assieme le due cose, andare su e giù è stato l’equivalente del pilota, rimanere là l’equivalente del marinaio. Io ho fatto tre missioni di breve durata, due con la Soyuz e una con lo Shuttle, nel momento conclusivo del programma, quando c’è stata la grande transizione negli Stati Uniti dal mondo gestito dalla Nasa al mondo gestito dai privati. La Russia, con la tecnologia della Soyuz, potrebbe avere ancora un ruolo nello spazio futuro? Il mondo spaziale russo per come l’ho vissuto io, tra il 2002 e il 2005, è un mondo che mi è piaciuto molto e che ora manca sullo scenario globale internazionale; era molto diverso da quello americano, molto più concreto, pratico, diretto, come la tecnologia russa che è semplice, efficace, efficiente ed economica. Era veramente piacevole vedere come problemi complessi venivano risolti in una maniera assolutamente brillante, ma parliamo di vent’anni fa, oggi non so cosa stia accadendo, ma non sembra ci siano più le risorse complessivamente per continuare ad avere un ruolo; i russi hanno firmato un accordo con la Cina per una base per fare ricerca sulla Luna, in realtà non so quanto sia concreto, quanto ci sia di dichiarazione e quanto ci sia di programma, ma sembra proprio che l’impegno e la cultura russa in questo campo si stiano disperdendo, lasciando uno spazio importante alla Cina, che invece continua a mettere a segno le mosse corrette. La Cina, come accennava prima, ha dimostrato una coerenza strategica che sta stando i suoi risultati. Quali? La Cina è sempre accusata di copiare, però lo fa bene e nel copiare riesce a essere selettiva. Ricordo la famosa battuta di Elon Musk quando gli dissero: “i cinesi stanno copiando anche Starship!” e lui rispose: “beh…in bocca al lupo!” Ora però la Cina che sia spontaneamente, che sia seguendo la falsariga di altri, si caratterizza per la stabilità dei suoi programmi spaziali. Mentre negli Stati Uniti abbiamo questi grandi programmi che crescono, crescono e poi muoiono, i cinesi sembrano essere più costanti, la costanza è un elemento fondamentale, e non seguono le mode: cercano di porsi degli obiettivi strategici e giorno dopo giorno, fallimento dopo fallimento, di raggiungerli. Quindi sono sulla Luna, sono su Marte, hanno la loro stazione spaziale orbitale, hanno un loro programma umano sulla superficie lunare ed è probabile che effettivamente ce la facciano. Se questo accadrà ci sarà necessariamente un cambio nelle dinamiche e negli equilibri anche del mondo occidentale, in particolare per gli Stati Uniti, perché non sarebbe accettabile per l’amministrazione americana sapere che c’è un cinese sulla superficie della Luna! In quel caso, verosimilmente, assisteremo a un ritorno all’assegno in bianco che caratterizzò gli anni Sessanta, quando il presidente Kennedy disse: “noi vogliamo andare sulla Luna non perché è semplice ma perché è difficile” e firmò l’assegno. Se si guarda il budget della Nasa, ebbe un picco in corrispondenza degli anni ’69, 70, 71, fino alla missione Apollo 17. Dopo di che, il programma lunare perse il suo appeal pubblico, e in effetti non c’era un motivo reale per proseguire con quelle missioni molto brevi: il loro costo, paragonato ai pochi giorni che gli equipaggi potevano restare sulla superficie della Luna, era effettivamente non sostenibile. Da allora sono passati oltre cinquant’anni, oggi la Luna non è più una dimostrazione di capacità, ma un’opportunità per l’economia globale. Cosa le manca di più dello spazio e a quale missione vorrebbe partecipare? La missione principale a cui vorrei partecipare è ovviamente una missione lunare, ma non vedo un mio ruolo in questo momento, perché lo spazio come gestione è diventato troppa diplomazia e politica e pochi programmi e se l’interesse politico per lo spazio è positivo non può essere però la politica a decidere sugli obiettivi programmatici; quindi, in questo contesto rimango una persona operativa, un tecnico, e l’unica cosa che posso sperare è che Starship funzioni e continuare ad andare in Texas, a Boca Chica, impaziente di vedere il rifornimento in volo e sperando anche che Elon Musk non si distragga troppo e che questa opportunità di portare cento persone nello spazio si realizzi, e che abbiano un posto libero, e a quel punto alzerei il dito e mi proporrei come volontario. Non mi ha detto che cosa le manca dello spazio… Questa è una domanda interessante, perché in effetti la microgravità non è piacevole ma è il futuro, che ci piaccia o no: il futuro nostro, dei nostri figli e delle generazioni a venire e quello che mi manca è la possibilità di sentirmi protagonista, come ti succede quando sei nello spazio.

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Marta Meli