Il coraggio di Gagarin e le mie 300mila foto della Terra. Lo spazio secondo Terry Virts

Esattamente 10 anni fa a quest’ora il colonnello Terry Virts stava volando a bordo della stazione spaziale internazionale, la più grande opera di ingegneria mai concepita, orbitante a 400 chilometri sopra le nostre teste, costruita a partire dalla fine degli anni Novanta e abitata permanentemente dal Duemila. Un avamposto umano nello spazio che Virts aveva contribuito a costruire con la sua prima missione nel 2010, e nella sua seconda missione, quella a cui partecipava anche Samantha Cristoforetti, cinque anni dopo ne era diventato anche il comandante. Viaggiando a 28mila chilometri orari, assistendo ogni giorno 16 albe e 16 tramonti, un giro della Terra ogni novanta minuti. Alla fine, Virts ha vissuto nello spazio 213 giorni, ha svolto tre attività extraveicolari, è stato un pilota militare, sperimentatore e di shuttle. Sky Tg24 Insider lo ha incontrato a Milano. Colonnello Virts, che cosa le manca di più dello spazio? La cosa che mi manca di più dello spazio è la vista, guardare il nostro Pianeta, un bel pianeta in una bella galassia. L’universo è sorprendente. Quando la gente mi domanda: qual è il suo pianeta preferito? Il mio è la Terra, certo Marte e Giove vanno di moda, ma la nostra Terra resta la migliore. Quando ha deciso che da grande voleva fare l’astronauta? Ho sempre voluto diventare un astronauta, quand’ero un bambino ho letto un libro sul programma Apollo, il primo libro che abbia mai preso in mano ed è quello che volevo fare da grande; sono cresciuto con i poster dello Space Shuttle, di galassie e nebulose, era proprio la mia strada e credo di essere uno dei pochi adulti che sono riusciti a diventare quello che sognavano quando erano un piccolo “bambino”! Com’è stato pilotare uno shuttle? Lo Space Shuttle è stata la cosa migliore di sempre. Era molto manuale, impugnavi i comandi e mentre eravamo nello spazio l’ho fatto volare durante l’attracco e poi, quando abbiamo lasciato la stazione spaziale internazionale, avevo io il controllo e ho volato attorno alla ISS; quando siamo tornati sulla Terra, e atterrati come con un aeroplano, ho tenuto i comandi e volato ancora per un minuto e poi l’ho lasciato al mio comandante George Zamka e lui lo ha fatto atterrare, ma amavo farlo volare e come pilota posso dire che è stato il momento più alto della mia carriera. Al momento del lancio, quando si sono accesi i motori, ho sgranato gli occhi perché non avevo mai udito un suono del genere, così forte, vibrava tantissimo ed era qualcosa di impressionante da provare! Un minuto dopo il lancio è il momento di maggior frastuono perché i motori sono al massimo e hai tutta la pressione dell’aria che ti arriva addosso. Che sensazione è fluttuare nel vuoto? Diversi astronauti esperti di uscite nel vuoto mi avevano detto di aver provato un senso come di vertigine; quindi, la prima cosa che ho fatto quando sono uscito dal portellone per la mia prima attività extraveicolare, era notte sulla Terra ma eravamo avvolti dal sole sulla Stazione spaziale, è stato prendere un cavo e fissarlo, così da essere agganciato, e poi mi sono lasciato andare, ho mollato la presa, e ho guardato la Terra mentre stavo lì, fluttuando, e mi sono detto: ok, non soffro di vertigini, e poi sono tornato al mio lavoro, ma la prima cosa di cui volevo essere sicuro era di non cominciare a girare su me stesso, invece è andato tutto bene. Lei nello spazio è diventato anche un fotografo. Quante foto ha scattato e qual è quella che preferisce? Ci sono dei tizi nel blocco A del Johnson Space Center a Houston che si occupano di contare le fotografie degli astronauti e mi hanno detto che ne ho scattate oltre 300mila, che sono davvero tante ed è difficile per me dire quale sia la mia preferita, ma penso che l’ultima immagine che ho catturato, con il sole che sembra esplodere mentre sorge sulla Terra, probabilmente è quella che mi piace di più. Dopo oltre 200 giorni nello spazio, che cosa rappresenta per lei la Stazione Spaziale Internazionale? Credo che sarò molto triste quando verrà dismessa e i suoi resti finiranno nell’Oceano, è stato l’onore della vita per me contribuire alla sua costruzione, diventarne il comandante e vivere lì per oltre sette mesi. Come pilota dello shuttle Endeavour ci sono stato una prima volta con una missione di due settimane, e per me è stato come un viaggio d’affari, un po’ come venire a Milano per lavoro; nel mio secondo volo invece ci sono rimasto per sette mesi, oltre duecento giorni, e in questo caso è stato come un trasferimento: avere un appartamento, un indirizzo e traslocare lì. Quindi per me si è trattato della differenza tra una trasferta di lavoro e un trasloco in un altro posto. Cosa significa per lei la parola fallimento e qual è la situazione più difficile che ha dovuto affrontare nello spazio? Fallimento è una parola interessante: quando le cose vanno male non significa automaticamente un fallimento. tutti commettiamo errori nella vita. La vera chiave di un successo o di un fallimento è come gestisci il problema. Se affronti una difficolta, la riconosci e alla fine la superi non si tratta di un fallimento ma di una lezione imparata. La situazione più complessa che mi sono trovato a gestire in orbita è stata una perdita di ammoniaca, un fluido per il raffreddamento altamente tossico, che si è verificata all’interno del segmento americano della Stazione spaziale nel gennaio del 2015. Siamo stati costretti a indossare le maschere per l’ossigeno e ci siamo rifugiati all’interno del segmento russo. Alla fine, si è rivelato un falso allarme, ma abbiamo passato un’intera giornata pensando che la nostra casa spaziale era spacciata e che non sarebbe mai più stata operativa, e anche se al termine della giornata il problema è rientrato si è trattata sicuramente della situazione più complessa che mi sia trovato ad affrontare. Che cosa rappresenta il programma dalla Luna a Marte per il genere umano? Io penso che andare sulla Luna per poche settimane va bene, gli astronauti saranno sottoposti a molte radiazioni, ma è già accaduto agli equipaggi delle missioni Apollo e non è stato così negativo, mentre arrivare fino a Marte è tutta un’altra storia, con i razzi attuali è un viaggio di tre anni e restare esposti radiazioni estreme per tutto quel tempo non credo sia sensato e non dovremmo farlo. Affrontare il problema delle radiazioni, che potremmo risolvere andando e tornando più velocemente, cosa che però richiede energia nucleare e propulsione elettrica, credo che sia la chiave per arrivare, con il tempo, fino a Marte. Che cosa pensa del programma Artemis e del progetto di una stazione in orbita cislunare, il Gateway? Artemis è il grande progetto della Nasa per il ritorno sulla Luna e prevede la costruzione del Gateway, che sarà una piccola stazione spaziale in orbita attorno al nostro satellite. Alcuni alla Nasa ritengono che sia una buona idea per la scelta di un’orbita in cui sarà più facile effettuare le manovre, ma personalmente non la considero una scelta valida perché servono molti soldi e molto tempo per costruire il Gateway e poi servono ancora altro tempo e soldi per mantenerlo operativo; così come la stazione spaziale, richiede rifornimenti e manutenzione, inoltre per andare sul Gateway e da lì sulla Luna serve una settimana in più del previsto. Quindi molto tempo supplementare e molto denaro in più e ulteriore esposizione alle radiazioni; se dipendesse da me sarebbe meglio puntare direttamente a raggiungere la Luna, senza farsi distrarre dal Gateway. Il 12 aprile si celebra la giornata internazionale dei viaggi dell’uomo nello spazio. Qual è l’eredita che ha lasciato il primo cosmonauta, Jurij Gagarin? Credo che l’eredità di Jurij Gagarin e del suo volo, che si commemora il 12 aprile, il giorno dei Cosmonauti come lo chiamano i russi, che è anche l’anniversario del lancio del primo shuttle, sia la consapevolezza che il genere umano è capace di lasciare la Terra. Anche se è difficile per la nostra generazione tornare indietro al 1961, riuscire a staccarci dal nostro Pianeta fu qualcosa di incredibile! Un risultato davvero fantastico e Gagarin ebbe un gran coraggio proiettandosi letteralmente verso l’ignoto dello spazio, e ce la fece dimostrando a tutti che se ti applichi e non hai paura di prenderti dei rischi puoi fare qualsiasi cosa!

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