Lo spiega uno studio pubblicato su Nature Methods. La tecnologia permette di esplorare le cellule in 3D come non è mai stato possibile fare finora
La realtà virtuale permette di “camminare” all’interno delle cellule, grazie a un software – che si chiama vLume - che consente di esplorarle in 3D come non è mai stato possibile fare prima. Lo presenta nel dettaglio uno studio pubblicato sulla rivista Nature Methods dal gruppo dell’Università britannica di Cambridge, coordinato da Steven Lee. Secondo gli autori della ricerca, la realtà virtuale aiuterà a comprendere la biologia delle cellule, e a sviluppare e testare nuovi trattamenti terapeutici.
vLume, di cosa si tratta?
vLume è un software di realtà virtuale che permette di visualizzare in 3D attraverso la realtà virtuale immagini al microscopio a elevata risoluzione ottenute grazie a una nuova tecnica di microscopia a fluorescenza, una scoperta che nel 2014 ha permesso a Eric Betzig, Stefan W. Hell e William E. Moerner di vincere il Premio Nobel per la Chimica. La tecnica della fluorescenza, di fatto, ha aperto quella che viene definita l'era della ''nanoscopia''. Così chiamata perché le strutture che si riescono ad osservare grazie a questa intuizione hanno infatti le dimensioni di miliardesimi di metro. Le funzionalità di vLume includono anche visualizzazione, segmentazione, analisi su misura di geometrie locali complesse e funzionalità di esportazione. Può eseguire analisi complesse su veri campioni biologici tridimensionali che altrimenti sarebbero impossibili utilizzando programmi di visualizzazione a schermo piatto.
I limiti del software
Con l’utilizzo di questa speciale tecnologia, gli esperti sono certi che sia possibile studiare in dettaglio i processi molecolari mentre avvengono, a diversi livelli: dalle singole proteine alle intere cellule, come neuroni cellule immunitarie o cancerose. Quando si parla di “camminare” dentro le cellule, spiega la prima firma dello studio Steven Lee, è perché con vLume si ha la “possibilità di analizzare e visualizzare i dati in tre dimensioni”. “Con questa nuova tecnica - conclude - è possibile spingere lo sguardo fin dentro le cellule, a scale nanometriche”, cioè della miliardesima parte del metro”.