“L'Urlo” di Munch, scoperta la soluzione per evitarne il deperimento

Scienze

Uno studio, condotto dal team del Munch Museum di Oslo e riportato lo scorso febbraio dal New York Times, aveva segnalato che l’opera stava perdendo il suo colore. Ma un lavoro di ricerca coordinato dal Cnr ha potuto far luce sulla vera causa (l’umidità) che potrà permettere ora di capire in quali condizioni ottimali esporre l’opera

L’Urlo” di Munch, uno dei dipinti più iconici della storia dell’arte moderna, sta combattendo una sorta di lotta contro il tempo a causa di un progressivo deterioramento dei materiali usati sulla sua superficie. Secondo uno studio condotto dal team del Munch Museum di Oslo, riportato lo scorso febbraio dal New York Times, le porzioni della tela colorate inizialmente di giallo e arancione si stanno trasformando lentamente in bianco avorio, facendo perdere intensità al famoso dipinto, realizzato dal pittore norvegese nel 1910. Grazie all’osservazione ai raggi X dell’opera era stato possibile vedere la formazione di nanocristalli sulla tela, causata dall’utilizzo di materiali e pigmenti di origine naturale, minerale e vegetale soggetti allo scorrere del tempo. Ora, grazie al risultato di uno studio di un team internazionale guidato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche è stato possibile capire che il principale nemico del quadro è l’umidità.

I livelli di umidità

Lo studio, condotto grazie al supermicroscopio a raggi X della struttura europea per la luce di sincrotrone (Esrf) di Grenoble, pubblicato sulla rivista “Science Advance” e coordinato da Letizia Monico e Costanza Miliani del Cnr, fornirà le indicazioni per esporre il dipinto in condizioni di sicurezza e salvarlo dal degrado. Gli esperti hanno infatti potuto constatare che è l'umidità e non la luce, il principale fattore di degrado dei pigmenti gialli di cadmio impiegati da Munch nel suo celebre quadro. Ciò che andrà evitato, si legge anche sul sito del Cnr, sarà “l'esposizione a livelli di umidità relativa percentuale non superiori a circa il 45%” mentre andrà favorito il “mantenimento dell'illuminazione ai valori standard previsti per i materiali pittorici stabili alla luce, come il giallo di cadmio utilizzato nella tavolozza”. La scoperta, tra l’altro, potrà permettere di esporre l’opera in maniera più costante, dato che finora raramente era stato possibile a causa delle sue delicate condizioni, soprattutto a partire dal 2006, quando il capolavoro è stato esibito in pochissime circostanze, proprio a causa del fragile stato di conservazione.

Le analisi sul dipinto

Per arrivare alla loro teoria, gli esperti, recandosi presso il Munch Museum di Oslo, hanno utilizzato metodi non-invasivi di spettroscopia, effettuando poi esperimenti con sorgenti ai raggi X su micro-frammenti prelevati dall’opera. Le analisi effettuate al sincrotrone hanno permesso di individuare che l’umidità è una delle cause principali di degrado dei pigmenti gialli di cadmio del dipinto. E che, al contrario di quanto si ritenesse, “la luce ha un impatto irrilevante sul deperimento di tali pigmenti rivelatisi più stabili alla fonte luminosa di quanto non siano i gialli di van Gogh nella serie dei Girasoli, ampiamente analizzati dallo stesso team Molab-Cnr”. A raccontare alcuni risvolti del lavoro di ricerca è stata proprio Letizia Monico, ricercatrice presso l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche "Giulio Natta" del Cnr di Perugia. “Lo studio del dipinto è stato integrato con indagini sui provini pittorici di laboratorio invecchiati artificialmente, preparati utilizzando una polvere storica ed un tubetto ad olio di giallo di cadmio appartenuto a Munch, aventi composizione chimica simile al pigmento giallo del lago del dipinto. Ne è emerso che il solfuro di cadmio originale si trasforma in solfato di cadmio in presenza di composti contenenti cloro ed in condizioni di elevata umidità relativa percentuale. Ciò accade anche in assenza di luce”, ha detto.

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