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Himalaya, l’uomo ha contaminato i ghiacciai a partire dalla rivoluzione industriale

Scienze
Immagine di archivio (Ansa)

Uno studio coordinato dall’italiano Paolo Gabrielli ha permesso di rilevare sul ghiacciaio Dasuopu, a 7200 metri di altitudine, i depositi dei metalli creati da incendi o dalla combustione del carbone a partire dal 1780 

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Alla fine del 18esimo secolo, all'alba della rivoluzione industriale, le vette dell’Himalaya erano ancora inesplorate. Eppure, centinaia di anni prima che qualcuno riuscisse a raggiungerli, questi luoghi contenevano già tracce delle sostanze inquinanti generate dall’uomo e poi disperse nell’ambiente. La prova giunge da un nuovo studio dell’Università dell’Ohio, coordinato dall’italiano Paolo Gabrielli, che con il suo team ha scoperto proprio nei ghiacci dell’Himalaya tracce di metalli tossici accumulatisi in un ampio lasso di tempo, come viene spiegato anche sulla rivista dell'Accademia americana delle scienze (Pnas).

Himalaya contaminato dalla rivoluzione industriale

I segni dell’industrializzazione rimangono ancora oggi incisi nel ghiacciaio Dasuopu, situato nel cuore della catena dell’Himalaya. È qui che il team guidato da Gabrielli ha rilevato tracce dei prodotti della combustione del carbone, che si sono depositati su una delle cime più alte al mondo dopo un viaggio di oltre 10.000 chilometri cominciato a Londra, culla della rivoluzione industriale. Questo è l’evento che secondo Gabrielli “ha rivoluzionato l’utilizzo dell’energia”, facendo in modo che “l’uso della combustione del carbone cominciasse a causare emissioni che secondo noi sono state trasportate dai venti fino all’Himalaya”. Il ghiacciaio Dasuopu si trova a 7200 metri: da qui i ricercatori hanno prelevato delle carote di ghiaccio da analizzare alla ricerca di segni che mostrassero tracce dell’attività umana.

I metalli depositati sui ghiacci dell'Himalaya

Secondo le stime degli scienziati, il ghiaccio analizzato conteneva livelli più alti del normale di svariati metalli tossici, in totale 23, tra cui antimonio, cadmio, cromo, molibdeno, nichel e zinco. Queste contaminazioni, causate dalla combustione del carbone, sarebbero iniziate intorno al 1780, con i venti invernali che avrebbero trasportato da ovest a est alcuni metalli, mentre altri, concentratisi dal 1810 al 1880, sarebbero dovuti anche alle ceneri volatili generate da incendi su larga scala, generati “probabilmente dall'uomo a scopo di deforestare velocemente ampie aree che potessero essere adibite ad uso agricolo e pastorale”, spiega Gabrielli. Lo studio mostra quindi come l’uomo sia stato in grado di contaminare addirittura prima del 1800 un ecosistema che avrebbe visitato soltanto circa un secolo e mezzo dopo. Gabrielli specifica inoltre che i livelli di metalli rilevati “erano più alti di quanto accadrebbe naturalmente, ma non abbastanza elevati da essere tossici o velenosi. Tuttavia, in futuro il bioaccumulo potrebbe far concentrare i metalli dai ghiacci sciolti a livelli tossici nei tessuti di organismi che vivono in ecosistemi sottostanti al ghiacciaio”.