Etna, ricostruite su Nature risalita del magma e evoluzione vulcanismo

Scienze
Immagine di archivio (Fotogramma)

I ricercatori di Ingv e Ogs hanno svelato i meccanismi che hanno permesso al magma di risalire in superficie e provocato lo spostamento delle zone di eruzione, influenzando anche l’attività sismica 

Uno sguardo nel sottosuolo dell’Etna, per capire i meccanismi che hanno portato alle recenti eruzioni. Con un nuovo lavoro pubblicato sulla rivista Scientific Reports di Nature, i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) hanno ricostruito il processo di risalita del magma fino in superficie. Stando ai risultati ottenuti, le condizioni ideali per l’attività del vulcano si sarebbero create a causa dei movimenti delle faglie ‘trascorrenti’, ovvero caratterizzate da movimenti orizzontali, che si trovano nell’area nella quale sorge l’Etna.

Etna, deformazione delle faglie e migrazione vulcanismo

Come spiegato dal ricercatore Ingv Marco Firetto Carlino, il team ha analizzato dati sismici, gravimetrici e magnetici riuscendo a “ottenere le ‘immagini’ per ‘vedere’ il sottosuolo dove si trovano le faglie e come sono organizzate”. Ne è emerso che l’attività tettonica, iniziata almeno 500.000 anni fa, di una zona di faglia piuttosto vasta a ridosso del versante Sud dell’Etna ha gradualmente ‘aperto’ delle fessure nella crosta terrestre, localizzate tra Aci Trezza e Adrano. Proprio queste aperture sono responsabili della prima fase dell’attività dell’Etna, prima che la deformazione causata dai movimenti tettonici si estendesse più a Nord: l’interazione con questa nuova zona di faglia ha quindi provocato una migrazione del vulcanismo, per via dello spostamento “delle zone di eruzione dei magmi e alla chiusura repentina dei condotti eruttivi precedentemente attivi".

Come l’attività tettonica ha influenzato l’Etna

L’analisi condotta dai ricercatori di Ingv e Ogs spiega dunque la migrazione del vulcanismo dal lato meridionale dell’Etna, fino ai centri eruttivi odierni, attivi da circa 60.000 anni dopo una fase di transizione che ha riguardato l’area della Valle del Bove (tra 100.000 e 70.000 anni fa). Oltre a determinare le variazioni spazio-temporali del vulcanismo dell’Etna, le deformazioni causate dall’attività tettonica hanno, secondo Carlino, “anche determinato la formazione e l’attività delle strutture tettoniche attive che interessano il versante orientale dell’Etna”, una zona ad alta sismicità come dimostrato anche dagli eventi del dicembre 2018 oltre che caratterizzata da uno scivolamento del fianco del vulcano. I risultati pubblicati su Scientific Reports sono stati possibili grazie all’acquisizione e all’elaborazione delle immagini della crosta terrestre che l’Ingv porta avanti ormai dal 2014. 

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