Michael Collins ricorda lo sbarco sulla Luna: "La Terra, un pallino fragile". VIDEO

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In una lunga intervista di Nbc, data in esclusiva per l'Italia a Sky Tg24, il pilota dell'Apollo 11 si racconta, dal senso di responsabilità per il successo della missione al senso di totale solitudine sperimentato in orbita. VIDEO

“Ci vogliono in totale due ore per girare intorno alla Luna e per 40 minuti si è dall’altra parte, nel silenzio assoluto. Si potrebbe pensare che ci voglia un’ora e mezza ma è di più, se consideriamo tutte le angolazioni. Per più della metà del tempo si è in contatto con Houston ed è tutto un parlare, parlare in continuazione. In un certo senso è stato bello avere quei 40 minuti per se stessi, me li sono goduti”.

Inizia così l’intervista a Michael Collins, il pilota dell’Apollo 11 (IL RITRATTO DI MATTEO CACCIA). “L’uomo più solo del mondo”, come è stato definito, perché mentre i compagni Neil Armstrong e Buzz Aldrin scendevano sul suolo lunare, rimase a orbitare intorno alla Luna da solo, nel modulo di comando, senza poter comunicare né con loro né con la Terra. Collins non camminò mai sul satellite, ma fu parte fondamentale del successo della missione.

Il pilota che non camminò sulla Luna

“È innegabile. Avrei voluto camminare anch’io sulla Luna all’epoca. Anche oggi mi dispiace aver perso quell’opportunità. Ma lo dico in tutta sincerità, ero emozionato di ricoprire quel ruolo. Essere una delle tre persone che realizzavano il sogno di John F. Kennedy, con l’allunaggio e il ritorno sulla Terra. Ero io che riportavo a casa Neil e Buzz, che fossi davanti o dietro alla Luna non importava. Mi sentivo una parte di quella missione. Mi sentivo incluso non escluso. Se mi avesse dato fastidio non camminare sulla Luna, avrei agito diversamente. L’avrei detto a Deke Slayton (responsabile della selezione degli equipaggi delle missioni Apollo ndr) e magari avrei potuto camminare sulla Luna successivamente, ma ho scelto di non farlo”.

Il ricordo del giorno della partenza

“Sono una persona che si agita facilmente e quella mi sembrava una buona occasione per essere nervoso.
Quando andammo alla rampa di lancio, la nostra rampa di lancio 39-A, c’era qualcosa di strano, qualcosa non andava. Era vuota, non c’erano persone in giro. Di solito quando eravamo lì c’era un fermento di attività: gru, persone che andavano su e giù, gente con l’elmetto. Invece non c’era nessuno. Allora improvvisamente mi sono detto “forse sanno qualcosa che io non so”.
C’era poi questo piccolo ascensore che ci ha portato a 110 metri nella cosiddetta Camera Bianca, dove c’era una piccola porta. Quella era la nostra via di accesso alla navicella spaziale. Mentre aspettavo che tutto avvenisse, ho guardato a destra e poi a sinistra. Alla mia sinistra c’era la spiaggia, l’oceano, nessuna abitazione, sembrava una terra incontaminata. Poi ho guardato dall’altra parte e ho visto il più grande insieme di attrezzatura hi-tech mai visto nella mia vita. In un primo momento, istintivamente ero più attratto dalla semplicità che dalla complessità. All’inizio non hai una reazione emotiva a tutti quei numeri e quelle procedure”.

"Non preoccupa il countdown, ma quello che viene dopo lo zero"

“Quello che mi preoccupa sempre, e che penso preoccupi tutti gli astronauti, non è il momento del countdown, non è quello, ma è quello che accadrà dopo lo zero. E quando si arriva allo “zero” e inizia la spinta non ti limiti a dire “bene sta funzionando” ma pensi a cosa accadrà con l’accelerazione. Quello che voglio dire è che non sei mai soddisfatto dello status quo, non puoi permettertelo. Devi pensare che le cose stanno andando bene in quel momento, ma cosa accadrà dopo? Continuerà ad andare tutto bene o no? È questo di cui ci si deve preoccupare”.

L’attesa in orbita in totale solitudine

“Mentre ero solo in orbita e Neil e Buzz erano sul suolo lunare non ero preoccupato di non portare a termine il lavoro. Sapevo che quei due, qualsiasi cosa avessero fatto, l'avrebbero fatta straordinariamente bene. La mia preoccupazione non era quella che tutti si sarebbero aspettati, cioè il loro atterraggio sulla Luna. Ero sicuro che Neil avrebbe trovato un posto adatto, che avrebbe usato le sue capacità di pilota, il suo allenamento con gli elicotteri e con i veicoli di addestramento per l'atterraggio sulla Luna”.

La paura per il ritorno

“Quello che mi preoccupava era il ritorno. Sai, abbiamo provato ad avere almeno un piano B per ogni cosa che abbiamo fatto. Ma sulla superficie della Luna avevamo solamente un motore ascendente, un piccolo compartimento per la combustione. Il fuoco doveva prendere, doveva produrre la giusta spinta nella giusta direzione: se una di queste cose non avesse funzionato nel modo giusto, sarebbero morti. Questo era quello che mi preoccupava”.

Il fastidio per le telecamere

“A bordo c'erano delle telecamere. Tutte quelle foto scattate… A quelli dello staff delle public relations dicevo: "Abbiamo altre cose da fare". Sapevamo che era parte dell'accordo, ma durante la nostra preparazione al volo c'erano un sacco di cose che avrebbero potuto ucciderci. Quindi per la maggior parte del tempo ci siamo preoccupati che il veicolo spaziale fosse a posto e di quello che avremmo dovuto fare, invece di badare a qualche telecamera che puoi mettere da parte e chiudere nel 7B”.

Il ricordo della Terra vista dalla Luna

“Il nostro minuscolo pianeta è tutto un programma! Da lì potevo fare tante cose: osservare la Luna, Neil, Buzz, ma quella sagoma fuori dal finestrino rapiva tutta la mia attenzione. È al centro scena ed è la protagonista. È un puntino. Si può coprire con il pollice, volendo. È metà azzurro e metà bianco. Azzurro per l’oceano. Il bianco sono le nuvole. C’è una scia color ruggine, i cosiddetti continenti. E poi splende intensamente. È un panorama incantevole, che staresti ad osservare per ore e ore. Una sua particolarità, per me inspiegabile, è sul piano emotivo piuttosto che visivo. Sembrava proiettare una certa fragilità, non so perché”.

La Luna vista dalla Terra

“Ancora oggi ho dei momenti di meraviglia, guardando la Luna dalla Terra. Succede sempre mentre sto facendo altro: mi guardo intorno, noto una zona leggermente più luminosa, alzo lo sguardo e poi oh! All’inizio resto sorpreso. Poi mi dico “Aspetta un attimo, io ci sono stato lassù”. E poi continuo come se niente fosse. È una strana reazione. Per un millisecondo mi sembra di non aver mai visto nulla di simile in vita mia. Poi all’improvviso mi rendo conto che ci sono perfino stato lassù”.
 

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