Alzheimer, nuova tecnica a ultrasuoni per ripristinare la memoria
Salute e BenessereL’utilizzo della tecnologia ha comportato risultati positivi in diverse sperimentazioni condotte su animali. Nel 2019 è in programma un test sugli esseri umani
Grandi passi in avanti nella lotta contro l’Alzheimer.
Un team di ricercatori australiani, coordinato da Jurgen Gotz, esperto in demenza senile, ha sviluppato una tecnica a ultrasuoni che sarebbe in grado di restituire la memoria ai pazienti affetti dal morbo.
L’utilizzo dell’innovazione tecnologica ha comportato risultati positivi in diverse sperimentazioni condotte su animali presso il Brain Institute, University of Queensland.
Gli ultrasuoni attivano le cellule microgliali
Per compiere lo studio, i ricercatori sono riusciti ad attivare, grazie agli ultrasuoni, le cellule microgliali, le unità biologiche atte alla rimozione degli elementi tossici presenti nel cervello, definite dagli esperti “una specie di netturbini”.
“Il cervello di un paziente di Alzheimer è pieno di amiloidi tossici e normalmente questi netturbini dovrebbero compiere il loro lavoro, ma talvolta non lo fanno”, spiega Jurgen Gotz. Gli ultrasuoni stimolerebbero, quindi, l’azione delle cellule microgliali, favorendo l’eliminazione degli amiloidi e ripristinando la funzionalità della memoria.
La tecnica ritarda lo sviluppo dell’Alzheimer
Gli esperti ci tengono a sottolineare che la tecnica da loro sviluppata, ancora in fase di sperimentazione, non è una vera e propria cura, ma potrebbe essere impiegata, in futuro, per ritardare lo sviluppo del morbo. L’utilizzo degli ultrasuoni permetterebbe di rimuovere gli elementi tossici, migliorando la memoria dei pazienti nei tre anni successivi al trattamento.
“Potremo ritardare l’età in cui si svilupperebbe l’Alzheimer. Usando la tecnica in una fase in cui la malattia non è troppo avanzata, questa può essere prevenuta anche in persone predisposte”, spiega Gotz.
Nel 2019 la tecnica a ultrasuoni verrà sperimentata su un gruppo di pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, presso il Brain Institute. I risultati del prossimo test saranno preziosi per un’eventuale inclusione della tecnologia come pratica medica per combattere la patologia.
"Le prove sulla sicurezza umana alla fine del 2019 sono il prossimo passo, che rappresenta un investimento nella ricerca che è già in corso”, spiega il Professor Pankaj Sah.