L’albero genealogico dell’affettività e della sessualità

Un paio di settimane fa su questa pagina avevamo iniziato a costruire lo scheletro di un ragionamento sull’affettività e la sessualità. “Perché l’affettività coincide con l’intera personalità”, questo era il titolo. Si trattava di un primo passo, e ci eravamo ripromessi di tornare sulla questione, i cui confini sono assai più vasti di quanto si creda, perché, come dice il titolo della precedente riflessione, è impossibile separarla dall’impianto profondo delle nostre inclinazioni interiori, della nostra visione della vita. Per la stessa ragione registriamo un suo continuo ritorno alla ribalta, attraverso un confronto per lo più ideologizzato, polemico, laborioso e con poche possibilità di intendersi. Questa premessa esclude di per sé la possibilità di trattare l’affettività come una stanza speciale, separata, e sancisce l’inutilità dell’approccio “segregazionista” imperante, che ci spinge a occuparci proprio della singola parte evitando domande imbarazzanti sul senso profondo della nostra affettività. Montare un rivetto filettato non ci obbliga a interrogarci sul risultato finale del nostro lavoro, persino quando quella piccola giunzione è parte integrante di un ordigno nucleare. Ma se si parla dell’affettività questo atteggiamento “a pezzetti” si rivela fuorviante. Quando a Birkenau domandai a Marek, la guida polacca cui mi riferivo, se i cittadini tedeschi sapessero ciò che stava accadendo nei campi di sterminio, restò zitto, ma mi chiese, con un cenno quasi impercettibile della testa, di seguirlo. Arrivammo presto in un ampio locale occupato da forni crematori simili alle autobotti che trasportano liquidi infiammabili. “Vedi -disse Marek- questi forni li fabbricava una ditta tedesca che fino al giorno prima produceva trattori. Non solo, ma quando una di queste macchine atte alla distruzione dei cadaveri andava fuori uso, per ripararla arrivavano delle maestranze della Germania, dipendenti della stessa azienda. Difficile pensare che non si ponessero delle domande, che non raccontassero a parenti e amici in patria”. Se ragioniamo per parti separate, se ci concentriamo sui singoli elementi, come accade da sempre a proposito di affettività e sessualità, ci impantaniamo, ed è proprio l’atteggiamento segregazionista che è costato la vita a una miriade di donne, vittime di uomini impreparati alla vita, ossia alle relazioni, perché è di questo che parlano affettività e sessualità, di relazioni. Proprio tale consapevolezza suggerisce che la linea di partenza di questo tipo di intervento educativo andrebbe collocata prima, molto prima perché lo Stile di vita della persona si struttura nei primi cinque/sei anni, ancora prima che si metta piede a scuola elementare. Ciò significa un welfare evoluto, capace di affiancare le coppie che progettano di mettere al mondo dei figli, non certo per irreggimentarle ma per fornire loro strumenti in grado di rendere chiaro quanto l’affettività e la sessualità possano influenzare i rapporti tra le persone, anche in situazioni ordinarie. Il modo in cui incontriamo intimamente il nostro partner rivela la nostra visione del mondo più autentica, per questo, e per altro, l’affettività e la sessualità sono diventati così importanti da rendere ogni discussione intorno ad esse aspra. C’è in gioco la concezione dell’altro e -visto che siamo la specie cooperativa per eccellenza- il senso stesso della vita. Per capire sino in fondo la loro importanza, dobbiamo collocare affettività e sessualità all’interno di uno specifico albero genealogico, per l’esattezza su una scala a cinque gradini, che funziona quasi come un pentagramma. Cooperazione, Compartecipazione, Affettività, Sessualità, Compassione. La Cooperazione, il primo gradino, nasce dalla necessità di superare i nostri limiti individuali attraverso l’integrazione delle competenze e la divisione dei compiti, la base della sofisticata organizzazione delle nostre comunità. La cooperazione non prevede ancora rimandi alla vita affettiva, si fonda su scambi di reciproca utilità. La Compartecipazione è il gradino successivo, è qui che inizia a scattare l’interruttore, perché nasce la capacità di percepire il mondo interiore dell’altro. Il terzo gradino è l’evoluzione dei precedenti. L’Affettività rappresenta tutta la gamma delle emozioni e dei sentimenti che si palesano nelle nostre relazioni, soprattutto quelle ravvicinate, quando un altro essere umano supera la distanza di sicurezza e ci interpella in profondità con la sua presenza. La Sessualità si colloca appena sopra tale gradino, esaltandolo. In questo caso la distanza che ci separa dall’altra persona è sparita, la possibilità di nascondersi è annullata, non si può più barare al gioco. Ma il vertice di questo cammino ascensionale è la Compassione, che si sostanzia nella capacità di provare sincero dispiacere per i gravami altrui e attivarsi per lenirne la portata, in alcuni casi fino al sacrificio della propria vita. Forse è questo il vero capolavoro della nostra specie. Queste cinque note, collocate su altrettante righe del pentagramma, non sono leggibili singolarmente, perché tutte risultano orientate verso il prossimo, è ciò che pensiamo dell’altro a renderle inscindibili. Per questa ragione nascono conflitti importanti quando si affrontano simili temi, ma ciò che fatichiamo a capire è che quanto insegniamo ai nostri figli sui rapporti coi loro simili è esattamente ciò che chiamiamo educazione all’affettività, alla sessualità. Noi impartiamo e riceviamo educazione sessuale a getto continuo ma senza averne coscienza. Aprire davvero questo faldone permetterebbe di rendere palese ciò che accade in modo mascherato, un enorme vantaggio per tutti. Se è impossibile valutare la nostra affettività e la nostra sessualità fuori dal solco della nostra storia e da quella scala a cinque gradini, dobbiamo domandarci come mai non ne prendiamo atto ma ci ostiniamo a perseverare nella nostra lettura parcellizzata. Dovrebbe essere chiaro, infatti, che un bambino viziato diventerà un pessimo fidanzato e un pessimo marito perché qualcuno gli sta facendo credere che il mondo esiste solo per omaggiarlo. È questo ciò che definiamo educazione all’affettività. Il resto sono nozioni, importanti, ma nozioni. Il corredo di un racconto sublime. Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, rappresenta una voce autorevole nel panorama della psicologia italiana. È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra questi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, fino ai recentissimi “Volere Bene. La mente e il cuore” e “Individualisti si cresce" . Nella sua produzione sono presenti il romanzo di formazione “La casa di Henriette” e la collana illustrata di psicologia “Crescere senza effetti collaterali” , quest’ultima tradotta in diversi paesi, ultimo dei quali la Cina. È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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L’albero genealogico dell’affettività e della sessualità

Domenico Barrilà