Tumore al seno, per la mammografia resta il divario nord-sud

“Vorrei capire il senso di invitare le persone a fare una diagnosi precoce quando se non hai già una diagnosi per fare una mammografia in Sardegna ci vogliono mesi”. La denuncia arriva dall’attivista Mara Mibelli, 38 anni, di Olbia, che nel suo account Instagram qualche giorno fa ha riportato la sua testimonianza di paziente oncologica, con una diagnosi ricevuta a 37 anni: “Nel mio caso, quando con l'autopalpazione ho trovato un nodulo, sono andata direttamente da un privato perché sapevo che con la mia età e senza una diagnosi alla mano è praticamente impossibile fare una mammografia”, spiega a Skytg24. ”Mi è stato ripetuto più volte, da quando ho ricevuto la mia diagnosi, che non è il caso di rivolgersi a un privato per questo tipo di esami perché i privati non avranno mai i fondi per acquistare i macchinari del pubblico, solo che è più probabile che vengano stanziati due milioni per un nuovo macchinario che per assumere più personale medico, per cui troviamo ospedali con macchinari all'avanguardia ma senza personale”. Mibelli su Instagram ha raccolto molte altre storie simili, e la maggior parte riguardano il sud Italia. Storie confermate dall’Istituto superiore di sanità, con i dati della cosidetta “Sorveglianza Passi”, , un monitoraggio sullo stato di salute della popolazione adulta italiana che riguarda anche gli screening tumorali. Gli ultimi dati disponibili sullo screening mammografico mostrano che il 75% delle donne fra i 50 e i 69 anni si è sottoposto allo screening mammografico a scopo preventivo, all’interno di programmi organizzati o per iniziativa personale. Ma, come conferma la denuncia di Mibelli, l’accesso allo screening nelle regioni del sud e nelle isole è più difficile: non solo quella prevista dal piano di prevenzione, ma anche quella spontanea. In generale c’è una copertura totale dell’86% al nord, dell’80% al centro e solo del 62% nelle regioni del sud. La vera frattura emerge guardando agli screening organizzati dal sistema pubblico: nel sud la copertura crolla sotto la soglia minima del 50%, con punte negative allarmanti: la Calabria si attesta al 13,4%, la Campania al 30,4%, e la Sardegna al 41,1% dove rimane molto bassa anche l’adesione spontanea, che è del 23,6%. La debolezza dei programmi pubblici di prevenzione al sud poi amplifica le disuguaglianze sociali: secondo l’analisi dell’Istituto superiore di sanità la quota di donne che si sottopone allo screening mammografico è maggiore fra quelle più istruite o con maggiori risorse economiche, e tra le donne di cittadinanza italiana rispetto alle straniere e tra le donne coniugate o conviventi. Questo può dipendere anche dal fatto che in molte zone d’Italia accedere al servizio di mammografia è difficile anche a livello logistico: “Se non avessi avuto l'auto e mi fossi dovuta muovere con mezzi pubblici non sarei mai riuscita a fare gli esami”, conferma Mibelli. Per non parlare dei costi per lo spostamento e l’eventuale pernottamento in hotel, che in una regione come la Sardegna sono da tenere in considerazione: “Dopo quattro mesi, tre ecografie, due mammografie, un test citologico, un istologico ecoguidato, e quasi 1500 euro spesi, ho avuto una diagnosi di carcinoma duttale triplo negativo. Se non avessi avuto il privilegio economico di poter pagare anche per visite “a dir poco superficiali”, forse ora sarei in un’altra situazione”, aggiunge Mibelli, che con questo tipo di diagnosi ha avuto poi un’esenzione ed è riuscita a muoversi velocemente, ma spesso è proprio la diagnosi ad arrivare tardi. E la diagnosi salva vite: quando almeno una donna su due nella fascia d'età target si sottopone alla mammografia biennale, si intercettano più lesioni in fase precoce, si riducono le terapie invasive e soprattutto cala la mortalità. Usando i dati del 2024 dell'Osservatorio Nazionale Screening, che comprendono anche la Lombardia è possibile vedere su una mappa queste disuguaglianze, soprattutto riguardo all’adesione agli screening su iniziativa regionale. Dove funziona il pubblico, la prevenzione è per tutti Servirebbero dati che raccontino anche la distanza tra le strutture che offrono le mammografie ai centri abitati, ma al momento non esistono. Il divario raccontato dalla testimonianza di Mibelli e quella delle persone che l’hanno contattata è proprio quello che passa tra l’auto-diagnosi, che avviene tramite l’autopalpazione, approccio giustamente molto promosso durante il mese di ottobre, e la possibilità di accedere alle mammografie, anche quando si è sotto la soglia di età prevista dallo screening. Dove la sanità pubblica funziona, la prevenzione diventa davvero universale. In Veneto, Toscana, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia le differenze socio-economiche quasi scompaiono: le donne con meno risorse economiche o un livello d'istruzione più basso accedono alla mammografia con la stessa frequenza delle altre. Al contrario, nelle regioni dove l'offerta pubblica è debole, il ricorso al privato lascia fuori le fasce più fragili: cittadine straniere, disoccupate, donne con basso reddito. Proprio quelle più esposte ai rischi di una diagnosi tardiva. L'allargamento dello screening alle donne tra 45-49 anni, che però è previsto solo in alcune regioni, e 70-74 anni, mostra buone adesioni dove l'invito è stabile e organizzato. Fondamentale dal report dell’Istituto superiore di sanità è anche il supporto dei medici di famiglia, la flessibilità dell'offerta con orari estesi, sedi accessibili e la riduzione dei tempi d'attesa.

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