Serbia, il fronte della protesta si prepara a una nuova fase

Li abbiamo visti manifestare, gridare a gran voce slogan, bloccare strade, fare rumore con fischietti e vuvuzelas e osservare religiosamente infiniti minuti di silenzio, ma ora si mettono in fila, armati di penna, per chiedere elezioni anticipate. Sono i cittadini serbi che dal primo novembre 2024 e il crollo di una pensilina nella seconda città del Paese, Novi Sad, che ha provocato la morte di 16 persone, accusano i vertici di essere responsabili di un sistema di corruzione dilagante e chiedono al presidente conservatore, Aleksandar Vučić, e al suo partito Sns, da oltre un decennio al potere, di farsi da parte. Anche dietro l’organizzazione della grande raccolta firme del 28 dicembre, che chiude un 2025 turbolento, ci sono gli studenti universitari, fin dall’inizio alla testa delle proteste. E tanti volontari di tutte le età che dalla sera alla mattina hanno presidiato gli stand, quasi 500 sparsi in tutti il Paese. A Belgrado, nella pittoresca piazza del mercato Bajloni, al confine con il quartiere bohémien Skadarlija, dietro a uno dei banchetti c’è Danilo, 33 anni, attivo in un comitato civico locale. “Qui abbiamo raccolto un paio di migliaia di firme, non sappiamo con esattezza, ma la risposta è fantastica, i tavoli sono letteralmente sempre pieni, non sappiamo cosa succederà dopo, ma l'atmosfera è molto positiva”. Non mi aspettavo una tale partecipazione. Abbiamo dovuto aggiungere un tavolo in più, e a ogni tavolo ci sono in media cinque persone che firmano senza interruzioni, quindi è un caos”, racconta. Il pezzo di Paese che protesta da oltre un anno non si accontenta delle affermazioni del presidente Vučić che ha detto che alla fine del 2026 si andrà al voto ed ha lanciato il suo appello elettorale che si può sintetizzare così: "votate chi ha costruito le strade e non chile ha bloccate per mesi". “Non credo a niente di quello che dice. Non ha senso ascoltare le sue affermazioni, perché non sappiamo mai cosa è vero e cosa non lo è”, ribadisce Danilo. All’indomani dell’iniziativa è ancora in corso il conteggio, mentre da stamattina è possibile firmare anche per i serbi della diaspora attraverso un sito online. Sul modulo due punti fondamentali: si firma per lo scioglimento dell’Assemblea e l’indizione di elezioni, ma soprattutto si lascia il proprio contatto per poter ricevere notifiche e comunicazioni da parte degli studenti in lotta. Dopo aver messo a segno manifestazioni oceaniche e aver ottenuto l’appoggio dell’Unione europea che con una risoluzione ad ottobre ha criticato duramente per la repressione e la crescente polarizzazione le autorità del Paese, il cui processo di integrazione è in stallo, pensano a dare una svolta politica. E la raccolta firme è un modo per tenere alta la tensione e gettare le basi per un movimento più radicato ed esteso, in vista della prova elettorale. Ci dirigiamo verso un secondo stand, quello principale che è stato allestito davanti alla sede del Rettorato dell’Università di Belgrado. Si respira un’atmosfera di festa, anche perché c’è il Gran Bazar natalizio organizzato dagli universitari per raccogliere donazioni e offrire un’occasione di socialità. Incontriamo Maja, diciottenne matricola al primo anno. Ci spiega il senso di questa petizione ufficiosa ma che vuole aprire una nuova fase organizzativa: “In questo modo i cittadini creano una rete e noi stabiliamo un contatto personale e diretto con loro. Insieme lavoreremo sui nostri progetti futuri”. Una lista di candidati per il Parlamento è pronta, ma non ancora resa pubblica per evitare che si scateni la macchina del fango. Gli studenti assicurano che sono state scelte personalità “senza interessi privati e senza debiti verso i partiti”, ma anche tra gli oppositori di Vučić non manca la preoccupazione sulla direzione che prenderà il movimento. Con l’iniziativa di domenica che ha un nome trionfalistico “Annuncia la vittoria”, gli studenti hanno voluto mostrare che il popolo serbo, o almeno una grande fetta, è dalla loro parte: ma questo basterà a vincere in sede elettorale contro un partito che farà verosimilmente di tutto per restare al comando? Senza dimenticare che sulle ultime elezioni parlamentari del 2023, si allungò l’ombra delle irregolarità al punto che anche il Parlamento europeo intervenne con una risoluzione di condanna. Ljuba, 53 anni, ha appena depositato la sua scheda nell’urna trasparente: “Per 15 anni siamo stati sotto un regime criminale. Geopoliticamente abbiamo difficoltà. Il presidente cerca di tenere il piede in due staffe tra Est e Ovest, ma non è una soluzione a lungo termine. Ora l’Occidente non sa se darci altri soldi o imporci sanzioni, ma sono soprattutto i problemi interni a essere grandi. Firmiamo per il cambiamento”, conclude. Per chi ha aderito alla petizione, il 2026 alle porte è l’anno della speranza e delle parole che dovranno diventare fatti.

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Ludovica Passeri