Congelamento ovuli, il ginecologo Maurizio Bini: "La politica sostenga le donne"

Ha fatto nascere oltre 6500 bambini e bambine in provetta, dietro di sé quasi 40 anni di carriera come ginecologo di un ospedale pubblico. È un luminare della PMA e del social freezing Maurizio Bini, medico responsabile della struttura Diagnosi e Terapia della Sterilità e Crioconservazione dal 1995 all'ospedale Niguarda di Milano e protagonista del documentario GEN_, presentato la scorsa primavera al Sundance Film Festival. Lo abbiamo incontrato al Niguarda per fare un piccolo viaggio nel mondo della crioconservazione, la tecnica che permette di congelare gli ovociti nel momento in cui la loro qualità è ottimale e che consente così alle donne di salvaguardare la propria fertilità, decidendo di rimandare un'ipotetica gravidanza per motivazioni personali, sociali o economiche. Da quando nel 2023 la regione Lombardia ha emanato una delibera per supportare la natalità l'ospedale Niguarda è il primo centro pubblico italiano che si occupa di fertilità a offrire il servizio di social freezing a prezzi calmierati. E aiuta le donne a congelare il loro tempo biologico. Il numero di donne che crioconservano i propri ovociti è in forte crescita: dopo la pandemia è stato registrato un picco globale e in Italia solo nell'ultimo anno sono aumentate di quasi il 50% le donne che hanno scelto di congelare i propri ovociti: sembrerebbe l'inizio di una nuova "era glaciale" della fertilità, con gli Stati Uniti e Israele in cima alla lista. Nonostante questo non esiste ancora un registro ufficiale dei dati, e in Italia se ne parla ancora pochissimo. In primis, i ginecologi non sono ancora formati sulla pratica relativamente nuova, spiega il Professor Bini a SkyTG24 quando lo incontriamo in reparto, e tante donne non sono nemmeno a conoscenza di questa possibilità. "La nostra società occidentale è passata da una specie che era abituata a fare le uova a una specie che fa le uova solo quando è pronto il nido, e per preparare il nido – ovvero le condizioni di allevamento – c’è bisogno di tantissimo tempo. Arriviamo quindi quando le pari opportunità non hanno funzionato perché i maschi producono gli spermatozoi ogni tre mesi, mentre le donne fanno lo stesso con le "uova" una volta sola nella vita". Gap di genere ed età biologica a parte, un ostacolo concreto per molte donne è quello economico: il social freezing è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale per le pazienti con patologie oncologiche o con endometriosi avanzata, ma per chi lo sceglie per motivi non legati alla salute è di fatto un privilegio. Perché privatamente i costi sono alti: variano dai 3mila ai 7mila euro a seconda delle cliniche. E per incentivare questa tecnica rendendola accessibile a più donne possibili, poche settimane fa la Regione Puglia ha pubblicato un bando per offrire alle donne un contributo statale, con lo scopo di promuovere la fertilità senza trascurare la libertà di scelta e di carriera delle future madri. Professor Bini, cosa pensa della proposta pugliese che offre un contributo di 3 mila euro alle donne che vogliono congelare gli ovociti? Trovo positiva questa visione francese , però non deve essere una proposta universale: servono regole secche e precise. Per esempio, il limite di 37 anni che hanno imposto come soglia massima è un’età un po’ avanzata ma ancora accettabile. Però c’è un altro aspetto: credo che prima di offrire i 3 mila euro alla paziente sarebbe giusto che si verificasse se la donna è nelle condizioni ideali per intraprendere questo tipo di percorso. Servirebbe quindi un filtro iniziale sui criteri di ingresso, anche clinici. Quindi approvo l’idea generale ma l’ho trovata un po’ rozza, da perfezionare. La fertilità si incrementa solo se si verificano determinate condizioni. Altrimenti è propaganda. Pensa che la politica dovrebbe incentivare il social freezing? Sì, e credo che tutti i partiti dovrebbero essere favorevoli. La sinistra dovrebbe rivendicare la libertà di scelta e l’autodeterminazione del corpo delle donne, mentre la destra dovrebbe capire che chiunque voglia ricorrere alla crioconservazione ovocitaria ha in mente una famiglia tradizionale classica. Quella del congelamento è in fondo una scelta conservatrice: vengono conservate le uova in una visione conservatrice della famiglia. La "trasgressione" per una donna single significherebbe invece andare in Spagna a fare l’inseminazione con il seme donato. Credo che nessun partito politico dovrebbe quindi avere obiezioni ideologiche su questa pratica. A proposito di limiti di età, al Niguarda avete scelto come soglia massima quella dei 35 anni. Perché? Ci siamo appoggiati su dei limiti logici: se una donatrice di ovociti non può donare oltre i 35 anni ci sarà un motivo, così abbiamo scelto quel limite e lo abbiamo fatto nostro. Per quanto riguarda l’utilizzo invece abbiamo tenuto quello legale di 46 anni. Ci sono molti Paesi del mondo con regole differenti: pensi che in Inghilterra buttavano via gli ovociti dopo 10 anni di utilizzo perché alcune donne di 70 anni che avevano congelato a 25 hanno poi intentato cause legarli perché volevano usarli da anziane: avevano pagato la conservazione per 40 anni e lo consideravano un diritto. Ora la legge è cambiata: gli ovociti non vengono più buttati se la signora dimostra di essere sterile o avere un partner sterile. Mentre se sei di nuovo fertile e non li hai usati in passato non puoi più farlo. Il social freezing è rimborsato dal SSN per malate oncologiche e pazienti con endometriosi grave o in menopausa precoce. Nelle cliniche private le regole sono diverse? Sì, quando due anni fa è uscita la delibera della Regione Lombardia che incoraggiava la crioconservazione a prezzi calmierati, abbiamo intrapreso subito questa strada, mentre i limiti nel settore privato sono meno stringenti e il problema ha a che fare con le tecniche. Sappiamo che purtroppo il mercato non si ferma davanti a niente, nemmeno all’illogicità delle procedure e anche qui a Milano tutte le donne a cui diciamo di no qui in ospedale vanno in un'altra struttura a pagamento. Questo a mio avviso non ha senso: a noi non interessa che quella donna conservi gli ovociti, ci interessa invece che abbia la possibilità concreta di avere un figlio in futuro, ed è una cosa diversa. Una donna single in Italia può congelare gli ovociti, ma se dopo anni vuole utilizzarli ed è ancora single, deve per forza recarsi all’estero. Sì, e non sono d’accordo. Visto che le nuove linee guida consentono il trasferimento dell’embrione nella donna con marito morto e quindi permettono che nasca un figlio senza padre, non si capisce perché una donna senza un partner non lo possa fare. Che differenza fa per quel figlio che in entrambi i casi è senza papà? Il problema è che il diritto è stato riconosciuto all'embrione e non alla donna. E trovo che non abbia senso. Se in Italia le donne single potessero accedere alla fecondazione assistita, come succede in Spagna, si ridurrebbe il numero delle richieste di social freezing perché in molte opterebbero per la scelta di fare un figlio da sole in età più giovane. E poi sa cosa ho imparato in questi anni? Mi dica. Ho capito che in fondo il figlio è della madre, mentre la paternità, come diceva l’antropologa Margaret Mead, è un’invenzione occidentale. Quindi se una donna trova - o si illude di trovare il maschio giusto per fare un figlio, bene - ma se non succede penso che non debba rinunciare alla maternità perché non ha un partner. Personalmente mi sembra una rinuncia sproporzionata rispetto all’esperienza che potrebbe fare: quella di sentire crescere un essere umano dentro il suo corpo. Se fossi una donna, io non vorrei mai perdere questa possibilità. Parliamo della procedura di estrazione degli ovociti prima di conservarli: è invasiva? Sì, abbastanza. La paziente deve sottoporsi a diversi esami clinici e analisi del sangue, poi assumere degli ormoni per una quindicina di giorni attraverso iniezioni casalinghe. Una volta che gli ovociti sono “maturi” si porta la paziente in sala operatoria e si prelevano con un piccolo ago transvaginale, in anestesia totale per non farle provare dolore. Vogliamo evitare che senta dolore soprattutto perché quella donna non vedrà in breve tempo la risposta di quell'operazione in una gravidanza - e non è detto che la vedrà mai - quindi sappiamo che è meno disposta a sopportarlo. Una volta che l’intervento è concluso e la paziente si sveglia le viene detto quanti ovociti siamo riusciti a congelare. Esistono dei limiti di età che il medico può imporre per non utilizzare gli ovociti? Sì, la legge italiana prevede anche nel caso delle fecondazioni che il medico, se non è convinto, possa rilasciare una relazione in cui spiega il motivo per cui non avvia una determinata procedura. Questo è un campo che lavora sull’invisibile e sul probabilistico, l'etica dobbiamo portarcela da casa, non può imporla la legge. E significa per esempio significa rinunciare al denaro se mi sembra che non ci siano delle prospettive adeguate per una gravidanza. Sempre l’etica suggerisce di non far soffrire una donna con ormoni, aghi e anestesia se non posso garantirle una probabilità sufficiente di avere un figlio. Tasso di successo per fasce di età: può indicarci dei dati? Diciamo che il numero è troppo basso, specialmente in Italia, per quanto riguarda l’utilizzo degli ovociti congelati. Circa metà delle donne che hanno crioconservato non li usano, spesso perché non hanno trovato il partner. Molte vanno direttamente all’estero e ricorrono alla donazione di seme. Comunque l’utilizzo è una funzione diretta dell'età: il tasso di gravidanza non è alto perché è circa di 2% a ovocita conservato. Quindi una donna che "mette via" 10 ovociti ha il 20% di avere un figlio, non il 100%. E poi man mano che l'età avanza, ne serve un numero maggiore. Possiamo dire che il tasso di gravidanze è circa del 30%. Oggi si utilizza la vetrificazione: in che cosa consiste? Sì, è una tecnica coreana ormai sdoganata. Noi italiani siamo stati i più bravi congelatori di ovociti del mondo perché eravamo l'unica nazione in cui era vietato congelare gli embrioni per via della legge 40. I coreani, nel frattempo, hanno sviluppato la vitrificazione, tecnica che ad oggi ha vinto la battaglia: è molto più semplice, molto più veloce, molto più efficace. La vitrificazione degli ovuli avviene a una temperatura di -196 gradi con immersione nell'azoto liquido. Si tratta di una pratica complessa? Il grosso problema degli ovociti è che sono delle vescichette piene d'acqua, quindi dobbiamo utilizzare delle sostanze che impediscano che si formi il ghiaccio dentro la cellula e il congelamento deve arrivare in tutti i suoi punti nello stesso istante, altrimenti la parte interna non sopravvive, muore prima di freddo. Le provetta che usiamo sono sottilissime, fini come dei capelli. Ci sono patologie pregresse che impediscono il tentativo di social freezing o lo precludono? Per esempio la menopausa precoce, o se la donna in questione ha delle posizioni ovariche difficili per cui il rischio del prelievo ovocitario supera la probabilità. Per effettuare l'estrazione inseriamo un ago attraverso la vagina della donna, quindi dobbiamo essere sicuri che l'ovaio sia in una bella posizione. Ci possono essere difficoltà anatomiche della paziente, o difficoltà relative al numero di oviciti. Quando si prevede che il rischio sia superiore alla possibilità di recupero, si sconsiglia alla donna di procedere, è come un rapporto costi-benefici: la tutela della salute della donna è più importante della riuscita della procedura. In Italia la donazione di ovociti, regolata dalla legge 40, è gratuita e anonima. Cosa ne pensa? Trovo che la cosa migliore sarebbe incentivare le donne a intraprendere il percorso da donatrici. In questo modo non pagano gli esami, non pagano i farmaci e conservano gli ovociti. In un mondo ideale il centro che se ne occupa potrebbe assicurare alla paziente di non usarli finché la donna non ha preso una decisione, mentre se dovesse decidere di non utilizzarli non andrebbero buttati e potrebbero servire a qualcun'altra. Oggi non esiste questa opzione ma la auspico. In Italia abbiamo avuto pochissime donatrici di ovociti, si tratta di casi molto particolari. Mentre negli altri Paesi questa pratica viene rimborsata. Quali motivazioni spingono le donne alla donazione? Il denaro sarebbe una brutta motivazione, ma almeno è chiara. Pensi che noi dobbiamo scartare il 90% delle persone che vogliono donare perché non dico che sono fuori di testa, ma le ragioni per cui vorebbero farlo sono alquanto discutibili. Le faccio un esempio: abbiamo scartato una signora francese che si trasferiva in Australia e voleva lasciare una scia dietro di sé, qui in Europa, dei suoi geni. Oppure alcuni maschi vengono da noi e ci dicono che non possono masturbarsi perché sono molto religiosi e sperano che donando il seme siano perdonati da Dio. Ma io non li perdono! . È vero che la scemenza non è ereditaria, ma trasferire quei cromosomi lì lascia un po’ di perplessità. Invece qual è l'aspetto più gratificante del suo lavoro? Penso sia quando vedi delle persone che vengono a cercare di avere figli e ti ricordi quando li hai visti che erano una cellula, quando “li hai fatti tu”. Questo è un bel brivido. Devi essere abbastanza vecchio per vedere due generazioni di cellule diventate persone, ma credo che questo sia l’aspetto umano più forte. E poi ci sono stati anche casi davvero particolari, unici. Per esempio? Casi complicati, come quello di una signora a cui anni fa ho fatto la fecondazione assistita, poi ha portato a termine la gravidanza e l’ho fatta partorire con un cesareo: ero io in sala parto e ho attribuito il sesso alla nascita femminile della sua bambina. Quella bambina che oggi ha 18 anni ha deciso di cambiare sesso e l’ho aiutata nel suo percorso di transizione di genere sempre qui al Niguarda. Si è poi sposato con una donna e sono tornati da me per intraprendere il percorso di PMA. Ecco, il bello di questo lavoro è quando in qualche modo percepisci che il mondo sarebbe stato diverso senza di te.

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