HIV in Italia 2.000 nuovi casi l'anno, il 58% in stadio avanzato
Salute e BenessereFino al 26 maggio torna la settimana europea della prevenzione. Mantenersi controllati è uno dei requisiti fondamentali per evitare il diffondersi del contagio
Una settimana intera per sensibilizzare tutti alla prevenzione.
Fino a domenica è possibile fare test rapidi (il cui esito è pronto in 20 minuti) per HIV, HCV (ossia l’epatite C) e sifilide. È la campagna “European testing week”. Gratuitamente, in forma anonima e senza prenotazione ci si può rivolgere a strutture sanitarie e non solamente.
Nel Lazio l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” ha coinvolto le associazioni di lotta all'HIV più attive sul territorio: il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, l’Associazione Nazionale per la Lotta contro l’Aids Lazio (ANLAIDS), l’associazione Arcigay Roma, il Gay Center, l’associazione Plus Roma, l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà (INMP) e Be Free (cooperativa sociale contro tratta, violenza e discriminazioni).
10mila persone HIV+ non fanno il test
La cultura della prevenzione stenta ancora a fare breccia nelle nostre abitudini. “Oggi c’è una bassa percezione del rischio non c’è consapevolezza del fatto che esistono malattie a trasmissione sessuale”, spiega il dottor Andrea Antinori, Direttore del Dipartimento clinico e UOC immunodeficienze virali dell’I.N.M.I. Lazzaro Spallanzani IRCCS.
In Italia negli ultimi due anni sono stati registrati mediamente poco meno di duemila nuovi casi di infezione da HIV, un dato in leggero rialzo ripresa rispetto al 2020, ma, aggiunge il dottor Antinori, “il dato più preoccupante e rilevante è che più della metà, il 58% di queste diagnosi è nella fase avanzata della malattia, il che vuol dire che le persone ritardano il test perché inconsapevoli del proprio stato di infezione”. Secondo i dai dati di sorveglianza dell’Istituto Superiore Sanità nel 2022 il 41% delle due nuove diagnosi ha riguardato persone che avevano già sintomi o segni della malattia, dunque che erano già in fase molto avanzata. Una “disattenzione” che ha un costo sociale enorme perché come sottolinea ancora il dottor Antinori “fino al momento della diagnosi la malattia è stata libera di progredire e la persona è stata in grado di infettarne altre”.
Oggi è la ricerca scientifica univoca nello stabilire che chi fa una terapia antiretrovirale efficace ha carica virale zero del sangue, dunque non trasmette più. Una terapia precoce serve, quindi, sia a rallentare che a bloccare il decorso e l’evoluzione clinica della malattia, ma soprattutto blocca la trasmissione ad altri soggetti.
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“Prima si fa un colloquio in cui viene valutato il rischio di esposizione e poi si effettua il prelievo di sangue con una minuscola puntura su un polpastrello”, spiega la dottoressa Valentina Mazzotta, responsabile ambulatorio per la prevenzione e cura di HIV e infezioni sessualmente trasmesse dello Spallanzani. Un’unica puntura per HIV, sifilide ed epatite C.
L’idea di coinvolgere associazioni sul territorio che si occupano soggetti ad alto rischio di malattie a trasmissione sessuale nasce dalla volontà di ampliare il bacino di utenza e scavare il sommerso. Si calcola, infatti che nel nostro Paese ogni anno siano tra le ottomila e le dieci mila le persone che contraggono l’HIV, ma non fanno il test, dunque non sanno di essere malate.
“Vogliamo andare noi dalle persone a fare i test, piuttosto che aspettare che vadano in un centro clinico che comunque è una barriera psicologica”, aggiunge la dottoressa Mazzotta.
A questo si aggiunge un pregiudizio, o come ci spiega Rosario Galipò (psicologo psicoterapeuta e referente dei progetti Anlaids nel Lazio) per paura dello stigma.
“In questi anni la percezione dello stigma è molto cambiato. Negli anni ‘80 e ‘90 erroneamente si credeva che l’infezione appartenesse a fasce di popolazione che già oggetto di pregiudizi falsi (maschi che fanno sesso con maschi, prostitute, tossicodipendenti). Oggi lo stigma allontana dalla prevenzione e dalla cura. Per paura di essere oggetto di pregiudizi molte persone preferiscono non conoscere il proprio stato sierologico”. Dunque per tante persone è preferibile non sapere di essere malati, piuttosto che accedere alle cure che in Italia sono interamente a carico del Servizio sanitario nazionale.
“Ancora oggi, nel 2024, molti non riescono ad accettare la malattia né a pensare di poter avere una vita sessuale e sentimentale-affettiva normale” -aggiunge il dottor Galipò- “la persona che scopre di avere l’HIV ha sempre paura di non essere più una persona in grado avere una relazione. È come se portasse addosso una di macchia, una colpa. Non è così”.
Le associazioni coinvolte
Uscire dagli ospedali, andare nelle stanze delle associazioni di ogni giorno assistono i più fragili è, quindi, la strada scelta quest’anno. Ne sanno qualcosa al Circolo Mario Mieli. Nato nel 1983, dal 2012 offre a chiunque la possibilità di fare il test dell’HIV “sia in sede, che con unità di strada, in discoteca. Andiamo là dove possiamo intercettare gli utenti”, ci spiega Massimo Farinella. “Come comunità LGBTQ+ siamo sempre stati sensibili al tema. Da noi ci sono volontari civili che hanno ricevuto un’apposita formazione che danno assistenza anche psicologica perché è più facile parlare con una persona che non porta il camice”.
Così come avviene presso l’associazione Plus Roma, un punto di riferimento a Roma per le persone HIV+. “Da tre anni abbiamo un check-point collegato all’ospedale Spallanzani dove offriamo servizi per la salute sessuale grazie al contributo di volontari” -spiega il presidente dell’associazione Filippo Leserri. “Noi siamo una realtà di sussidiarietà orizzontale, facciamo un servizio di prima accoglienza delle persone che vogliono fare un test o magari hanno bisogno di fare quattro chiacchiere sulle diverse forme di prevenzione”.
Leserri ci ricorda una regola elementare: “Almeno una volta nella vita bisognerebbe fare anche il test dell’epatite C, che si potrebbe contrarre anche banalmente dal dentista”. Invece succede che si presentano anche persone (quasi sempre uomini eterosessuali) che hanno compiuto 50 anni e non hanno mai fatto alcun tipo di test.
“Sicuramente i maschi che fanno sesso con maschi sono quelli più informati e accedono più spesso ai test” -prosegue il presidente di Plus Roma- “nella popolazione eterosessuale (stando a dati dello Spallanzani) più del 50% delle sieroconversioni riguarda loro. Tra gli eterosessuali i giovani sono più sensibili, soprattutto le giovani donne. Per quanto riguarda i maschi etero i meno informati sono quelli più adulti”.
Ma c’è anche chi il test non se lo fa perché non sa di potervi accedere gratuitamente, come le vittime di tratta a scopo sessuale: giovani donne provenienti dall’estero e sfruttate dal mercato della prostituzione. A loro si rivolge l’associazione Be Free che gestisce centri antiviolenza, case rifugio, case di semiautonomia. “Nei loro Paesi d’origine non si controllano perché c’è scarsità di informazione, o perché costa troppo. Molte sono increduli di fronte ai servizi cui possono accedere in Italia” -spiega la responsabile Ileana Aiese Cigliano.
A Roma, poi, c’è una struttura d’eccellenza di riferimento per i migranti e chi non ha possibilità economiche: l’ospedale San Gallicano. Anche qua fino a domenica 26 maggio chiunque potrà venire a fare il test, ma nella struttura che si trova nel cuore di Trastevere l’attenzione è soprattutto per gli immigrati. “Abbiamo personale formato appositamente, mediatori culturali che entrano in sintonia con gli utenti e spiegano loro il percorso da fare” -ci dice il Direttore sanitario dell’INMP Christian Napoli. “La nostra missione è raggiungere i gruppi vulnerabili della popolazione”. Persone che più molte di altre rischiano l’esposizione al contagio delle malattie sessualmente trasmissibili. “Dalla nostra esperienza la percezione del rischio è bassa” – dice il professor Napoli- “oggi si è ridotta l’attenzione a queste malattie, alcune sono croniche, con un costo sociale ed economico inaccettabile. La prevenzione è difficile se non si riesce a comunicare efficacemente ed è proprio su questo che abbiamo investito”.
Comunicare. Negli ospedali, nelle associazioni, ma non solamente. “Oggi sappiamo che l’età del primo rapporto si è abbassata e quindi c’è bisogno di interventi anche sulle scuole per creare consapevolezza”, commenta il dottor Antinori.