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Ludopatia, cosa è e come si cura il gioco d'azzardo patologico

Salute e Benessere

Con il mondo del calcio sconvolto dal caso di alcuni calciatori coinvolti in un'inchiesta relativa alle scommesse, scopriamo cosa significa ludopatia, e come è possibile curare quella che è a tutti gli effetti una patologia

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Il mondo del calcio italiano trema, con l'inchiesta coordinata dalla procura di Torino che indaga sun un giro di scommesse su piattaforme illegali che coinvolge alcuni calciatori di primissimo piano. Tra di loro il primo nome a uscire allo scoperto è stato quello di Nicolò Fagioli, centrocampista della Juventus, sul quale si sono rincorse voci di una presunta ludopatia. Scopriamo allora in che cosa consiste questa patologia, e come si può uscirne.

Cos'è la ludopatia

Secondo studi recenti fino al 3% della popolazione adulta italiana sarebbe affetta da ludopatia, ovvero una patologia che si caratterizza con l'incapacità del soggetto che ne soffre di resistere all'impulso di giocare d'azzardo o fare scommesse. Questa malattia è stata definita dagli studiosi dell’American Psychiatric Association (APA), nel 1980, nel 1994 invece il gioco d'azzardo patologico è stato inserito nel DSM-IV, il manuale diagnostico dei disturbi mentali. La ludopatia è riconosciuta anche dall'OMS, che specifica come spesso questa può essere accompagnata da depressione, disturbo bipolare, attacchi di panico, impulsività e disturbi vari legati allo stress.

Come si cura

È possibile curare la ludopatia, come spiegato alla Gazzetta dello Sport da Lorenzo Castelli, psicologo e psicoterapeuta esperto in gioco d'azzardo patologico: "È necessario un processo terapeutico che prenda in considerazione diversi piani. Uno può essere quello fisiologico e quindi è necessario fare una valutazione anche psichiatrica per verificare l'eventuale bisogno di un trattamento farmacologico" dice l'esperto. "Poi la psicoterapia è certamente indicata, nello specifico la letteratura ci dice che una psicoterapia ad approccio cognitivo-comportamentale può avere dei buoni risultati e poi eventualmente un accompagnamento di tipo più psico-educativo, quindi una parte più psicologica, ma anche una parte più educativa, un accompagnamento verso quelle modalità più pratiche e più pragmatiche che possano andare a ridurre la patologia in sé" conclude Castelli.

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