Alzheimer più diffuso tra le donne: la colpa potrebbe essere anche di un enzima. Lo studio

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A indicarlo è una nuova ricerca pubblicato sulla rivista scientifica Cell, che potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti contro la patologia

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L'Alzheimer colpisce in maggior misura le donne. Basti pensare che ne sono affette circa due volte più di frequente rispetto agli uomini.
Tra le cause che sarebbero all'origine di questa maggiore diffusione tra le donne ci sarebbe anche l'enzima USP11, maggiormente presente nel cervello del genere femminile, che favorirebbe un accumulo di proteine tossiche all'interno delle cellule nervose cerebrali. A indicarlo è un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Cell. I risultati potrebbero aprire la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti contro la patologia.

Lo studio nel dettaglio

Come spiegato dai ricercatori, nelle donne generalmente sono più elevati i livelli di proteina tau nel cervello. Quella in eccesso viene eliminata grazie a un sistema equilibrato di enzimi. Tuttavia, se questo sistema non funziona in modo corretto si può verificare un accumulo anomalo di tau. Dallo studio è emerso che una maggiore attività dell'enzima USP11 (peptidasi 11 specifica dell'ubiquitina) sarebbe correlata a alti livelli di tau, in quanto ne inibisce la degradazione ed eliminazione.

Test sui topi

In un test condotto sui roditori, il team di ricerca ha dimostrato che eliminando geneticamente USP11 nel cervello di topi femmine sarebbe possibile proteggere gli animali dal declino cognitivo.
Hanno così dimostrato che l'eccessiva attività dell'enzima USP11 nel genere femminile comporterebbe una maggiore suscettibilità all'Alzheimer.
"La buona notizia è che USP11 è un enzima e che questi possono essere inibiti farmacologicamente", ha riferito David Kang, professore di Patologia presso la Case Western Reserve School of Medicine, in Ohio, co-autore senior della ricerca. "Siamo particolarmente entusiasti di questa scoperta perché fornisce una base per lo sviluppo di farmaci neuroprotettivi", ha concluso il ricercatore.

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