Un nuovo studio dall’Università statunitense della Pennsylvania ha scoperto che le unità cellulari malate si comportano come "bibliotecari disordinati": alterano la disposizione dei "libri" che compongono il Dna presente nel nucleo e non sono più in grado di funzionare nel modo corretto
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Nuova luce su come l'organismo umano e le sue cellule si comportano in presenza di malattie.
Un nuovo studio dall’Università statunitense della Pennsylvania ha scoperto che le unità cellulari malate si comportano come "bibliotecari disordinati": alterano la disposizione dei "libri" che compongono il Dna presente nel nucleo e non sono più in grado di funzionare nel modo corretto perché faticano a ritrovare le informazioni nel giusto ordine.
Lo studio nel dettaglio
Il risultato, descritto sulle pagine della rivista specializzata Nature Biomedical Engineering, apre la strada allo sviluppo di nuove terapie basate su piccole molecole in grado di riportare ordine tra i "libri" del Dna e conseguentemente di aiutare a invertire il processo. Nel corso dello studio, il team di ricerca coordinato da Su Chin Heo, tramite utilizzo di tecniche di ultima generazione in grado di ottenere immagini ad altissima risoluzione, hanno osservato i nuclei di cellule all’interno di tessuto connettivo - il più abbondante tra i quattro principali tessuti che compongono l’organismo - deteriorato a causa della tendinosi, una malattia che causa la degenerazione dei tendini. Hanno così osservato che i cambiamenti chimici e meccanici che avvengono nell’ambiente attorno alle cellule a causa della patologia, inducono le unità cellulari a riorganizzare scorrettamente il loro genoma. Anche una volta cambiato l’ambiente circostante, le cellule sembravano aver perduto la capacità di riportare il Dna nel suo stato corretto, e quindi il loro funzionamento continuava ad essere alterato.
Prossimo obiettivo
I ricercatori sono ora al lavoro per cercare di capire se avviene un meccanismo simile anche nelle cellule della cartilagine e dei menischi e nel processo dell’invecchiamento. “Una volta che avremo compreso gli specifici processi cellulari che chiudono la porta della biblioteca, potremo usare farmaci come piccole chiavi, per cercare di impedire che accada o invertire il processo”, ha riferito Robert Mauck, co-autore dello studio.