Coronavirus, quando c’è doppio danno al polmone mortalità più alta in terapia intensiva

Salute e Benessere
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Se il Covid-19 colpisce sia gli alveoli che i capillari polmonari diventa letale per oltre la metà dei pazienti in terapia intensiva. Il processo è descritto in uno studio italiano

Uno studio italiano, con in testa il Sant'Orsola di Bologna, ha analizzato il meccanismo responsabile dell’elevata mortalità in terapia intensiva dei pazienti con il Covid-19. Il tasso di mortalità di quei ricoverati aumenta sensibilmente, si legge nella ricerca pubblicata sul Lancet Respiratory Medicine il 27 agosto, quando il coronavirus provoca un doppio danno al polmone, rovinando sia gli alveoli che i capillari polmonari. “Un risultato che avrà importanti implicazioni sia per le cure attualmente disponibili che per i futuri studi su nuovi interventi terapeutici” spiega il gruppo di ricerca.

L’impatto del coronavirus sui polmoni

 

Lo studio è stato coordinato dal professor Marco Ranieri, direttore dell’Anestesia e Terapia Intensiva Polivalente del Policlinico Sant'Orsola, e condotto su 301 pazienti ricoverati all’ospedale bolognese, al Policlinico di Modena, all’Ospedale Maggiore, all Niguarda e all’Istituto Clinico Humanitas di Milano, all’Ospedale San Gerardo di Monza e al Gemelli di Roma. I risultati “dimostrano che il Covid-19 può danneggiare entrambe le componenti del polmone: gli alveoli (le unità del polmone che prendono l’ossigeno e cedono l’anidride carbonica) e i capillari (i vasi sanguigni dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno). “Quando il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari polmonari muore quasi il 60% dei pazienti” riporta l’articolo pubblicato sul sito dell’Università di Bologna. Se va a colpire solo una delle due parti "a morire è poco più del 20% dei pazienti”.

 

Le implicazioni per le cure dei pazienti Covid

 

“Il ‘fenotipo’ dei pazienti col ‘doppio danno’ al polmone è facilmente identificabile – si legge - attraverso due parametri” che se esaminati possono portare a una riduzione della letalità: la distendibilità del polmone e un parametro ematochimico, il D-dimero. La scoperta avrà importanti implicazioni sia per le cure attualmente disponibili che per i futuri studi su nuovi interventi terapeutici per i pazienti con il Covid-19. Il riconoscimento rapido consentirà infatti una precisione diagnostica molto più elevata e un utilizzo delle terapie ancora più efficace e questo potrà portare a “un calo della mortalità fino al 50%”.

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