Il gigante della farmaceutica ha perso la causa contro oltre 1350 donne. L’accusa è di non aver informato le pazienti sui rischi dell’operazione. J&J potrebbe ricorrere in appello
Dopo sette anni è arrivata una prima sentenza sulla class action portata avanti da più di 1300 donne australiane contro Johnson & Johnson. Il tribunale federale australiano ha riscontrato che la filiale J&J Ethicon ha venduto questi dispositivi senza avvertire le donne della "gravità dei rischi" ed è stata "negligente nel portare i prodotti sul mercato prima di aver effettuato test adeguati”. Il giudice del caso, Anna Katzmann, ha fissato la prossima udienza del caso a febbraio. Intanto l’azienda ha fatto sapere che potrebbe ricorrere in appello.
Altri casi in Usa, Canada ed Europa
La J&J ha affrontato cause simili negli Stati Uniti, in Canada ed Europa. Ad ottobre aveva accettato di pagare quasi 117 milioni di dollari per risolvere casi simili in 41 stati degli Stati Uniti e nel distretto di Columbia. “La società ritiene di avere agito in modo etico e responsabile nella ricerca, sviluppo e fornitura di questi prodotti ", ha dichiarato in una nota. La giudice, invece, sostiene che abbia dato informazioni “inaccurate” e tenuto una condotta “fuorviante, con rischi noti da cui potrebbero essere derivati gravi danni, se verranno confermati”.
Le firmatarie della class action: “Siamo molto felici”
Le pazienti che hanno deciso di prendere parte alla class action hanno accolto positivamente la notizia: “Sono incredibilmente felice”, ha raccontato Julie Davis, la prima firmataria, anche se ha sottolineato che la decisione del giudice non metterà fine al dolore e al danno fisico subìto dalle pazienti come lei. Altre donne hanno raccontato di aver sofferto di dolore cronico, sanguinamento e grave disagio durante i rapporti sessuali dopo aver avuto l’operazione per l’impianto. “Ci hanno trattato come delle cavie, mentendo e poi non dandoci nessun aiuto”, ha aggiunto la Davis.