Postare le punizioni inferte ai figli: è giusto? Ecco qualcuno che lo ha fatto e perché
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Dare una punizione ai propri figli è già abbastanza? O in certi casi serve il megafono social per raggiungere lo scopo?
Un paio di settimane fa, un papà dell’Ohio, Matt Cox, ha fatto camminare la figlia di 10 anni per 8 chilometri fino alla sua scuola dopo che la ragazzina era stata espulsa dal pulmino scolastico per la seconda volta per atti di bullismo.
Il padre ha deciso che quella doveva essere l’occasione per dare alla figlia una lezione di vita: e l’ha fatta andare a piedi, seguendola in automobile. E filmandola.
Il video della punizione esemplare è stato postato sui social da Cox, con questo commento: “Lezione appresa! Ha ancora tutte le sue estremità intatte, è contenta e in salute e sembra avere una nuova prospettiva sul bullismo, oltre che una gratitudine nuova per le cose semplici della vita che dava per scontate #responsabilizziamoinostrifigli #stopbullismo”.
Il video ha ottenuto 15 milioni di visualizzazione, migliaia di commenti ed è diventato un caso, al punto che anche testate come BBC e Forbes ne hanno parlato.
Ma non tutti hanno apprezzato la “lezione di vita” di papà Cox.
C’è chi ha trovato che la punizione in sé fosse stata troppo dura, ma la maggior parte delle critiche si sono concentrate sul fatto di avere esposto la propria figlia alla gogna mediatica.
In molti hanno sostenuto che riprendere una ragazzina (seppure sempre di spalle, ripresa a media distanza e senza mai menzionarne il nome) fosse a sua volta un atto di bullismo.
Postare sui social le punizioni ai figli: public shaming?
In inglese lo chiamano “public shaming” e significa appunto “mettere alla berlina pubblicamente” qualcuno.
Alcuni commentatori l’hanno definito un “abuso”, altri una “molestia”.
Qualcuno ha scritto che le punizioni servono solo ad alimentare il risentimento dei figli, altri ancora che papà Cox avrebbe dovuto concentrarsi sul perché sua figlia agisce da bulla, e non su come punirla.
Su questo ultimo punto, personalmente, credo che una cosa non escluda l’altra.
Si possono indagare le ragioni di un comportamento socialmente inaccettabile dei propri ragazzi e al contempo prendere provvedimenti per sanzionare il detto comportamento.
Ma torniamo al punto principale.
La domanda che sorge spontanea è perché mai un padre voglia rendere pubblica la punizione, anche se meritata, inferta alla figlia.
Le risposte (di Cox, non mie) sono due.
La prima è legata alla responsabilità sociale. Come suggeriscono i due hashtag che corredano il post - #responsabilizziamoinostrifigli e #stopbullismo -, questo padre non punta solo a insegnare alla propria figlia che comportamenti come il bullismo sono crudeli e socialmente distruttivi e che chi sbaglia paga.
Questo padre punta anche a far sì che genitori di altri bulli facciano lo stesso.
Lancia una campagna e lo fa utilizzando il megafono social, quello più potente.
La seconda ragione, come ha dichiarato Cox in un’intervista al Daily Mail, è che lo ha fatto per poi condividere i commenti arrivati tramite Facebook sia con la figlia che con i suoi fratelli più grandi.
Lo scopo era insegnare loro che «anche se non vedi immediatamente come la tua maniera di trattare qualcuno fa sentire quella persona, non significa che il tuo comportamento non gli faccia male».
Entrambe le ragioni a mio parare sono più che valide.
Giudicare gli altri genitori: le parole sono importanti.
Forse, anziché essere pronti a puntare il dito e a misurare le azioni educative degli altri genitori by the book, ossia in base a regole teoriche, non calate nella realtà singola e singolare di ciascuna famiglia, dovremmo anche noi prenderci un attimo di riflessione in più.
E soprattutto questa storia mostra che noi genitori - come anche giornali e media in generale - abbiamo un urgente bisogno di ragionare meglio sul significato delle parole che utilizziamo, soprattutto online, dove il rischio di tracimare è sempre dietro l’angolo.
Abusi e molestie, per esempio, sono parole che corrispondono a precisi articoli del Codice Penale.
Chi le ha utilizzate per commentare le scelte educative di papà Cox ha mosso nei suoi confronti accuse specifiche e gravi. Eppure, se facessimo un sondaggio, quanti di loro saprebbero dare una definizione esatta di questi due reati?
Pochi, pochissimi.
“Conta fino a 10 prima di parlare”: mia nonna lo diceva spesso e aveva ragione.
Quando la lingua o il dito sulla tastiera vanno più veloci del cervello (e capita a molti, e di frequente) si creano problemi. Si feriscono persone.
Si ingigantiscono ed esasperano situazioni.
E allora, ti dico grazie, papà Cox. Oltre che una lezione di vita a tua figlia, ne hai data una pure a noi.