L'inattività? Potrebbe essere effetto e non causa dell'obesità

Salute e Benessere
Un uomo obeso alla fermata dell'autobus (Getty Images)
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Lo sostiene una ricerca pubblicata su "Cell metabolism" dedicata ai meccanismi che, nel cervello, inibiscono la voglia di fare movimento. Tutta colpa del recettore dopaminergico D2

La poca voglia di muoversi potrebbe dipendere da una serie di meccanismi che si innescano nel cervello delle persone obese. Insomma, sarebbe conseguenza e non causa dell'obesità. È questa l'ipotesi che emerge da uno studio sulla disfunzione dei gangli della base condotta dai ricercatori del National institute of diabetes and digestive and kidney disease americano, e pubblicata sulla rivista di settore "Cell metabolism".

 

L'ipotesi di ricerca – Gli scienziati dell'istituto americano, guidati dalla professoressa Danielle Friend, sono partiti dall'assunto che l'obesità è associata all'inattività fisica. La quale, a sua volta, è in grado di aggravare le conseguenze dell'aumento di peso sulla salute. “Tuttavia – si legge nello studio - i meccanismi che mediano questa associazione non sono noti”. Il team di ricerca avrebbe pertanto ipotizzato che i deficit di dopamina contribuiscono alla inattività fisica e, dunque, all'obesità. In altri termini: più si è inattivi più diminuisce il desiderio di muoversi. E il peso in eccesso conterebbe di meno rispetto ad alcuni meccanismi interni al cervello.

 

La ricerca sui topi – Per dimostrare la loro tesi i ricercatori hanno condotto i loro esperimenti su due gruppi di topi da laboratorio. Un primo gruppo è stato sottoposto, per 18 settimane, a una dieta standard, mentre l'altro è stato obbligato a seguire per lo stesso periodo di tempo un regime nutrizionale ricco di grassi. I risultati dell'alimentazione forzata sul secondo gruppo di roditori si sarebbero manifestati già a partire dalla seconda settimana con una diminuzione dell'attività fisica, ben prima di un sostanziale aumento del peso corporeo: questo perchè, secondo i ricercatori, i grassi di per sè sarebbero in grado di influire sul recettore D2 della dopamina che, a sua volta, influenza la predisposizione all'attività fisica. Insomma, i grassi innescherebbero delle disfunzioni a livello cerebrale nel sistema della dopamina, un meccanismo analogo a quello di alcune patologie neurodegenerative come il morbo di Parkinson.

 

Il recettore D2 – Successive verifiche cliniche sul gruppo di topi con peso in eccesso e inattivi, infatti, avrebbero permesso di chiarire come il loro aumento di peso avrebbe influito nel deficit del recettore dopaminergico D2. Un'alterazione che a sua volta sarebbe, secondo gli scienziati, alla base della mancanza di volontà nei confronti della voglia di muoversi. “Ci sono probabilmente altri fattori coinvolti, ma il deficit del D2 è sufficiente a spiegare la mancanza di attività”, ha spiegato nelle sue conclusioni la professoressa Friend.

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