Il pm ha sollecitato 7 anni per il generale Alessandro Casarsa, mentre 5 anni e mezzo sono stati sollecitati per Francesco Cavallo
La Procura di Roma ha chiesto la condanna degli otto carabinieri imputati nel processo sui presunti depistaggi messi in atto dopo la morte di Stefano Cucchi. Gli otto carabinieri sono accusati, a vario titolo e a seconda delle posizioni, di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia.
Le richieste di condanna
Il pm Giovanni Musarò ha sollecitato 7 anni per il generale Alessandro Casarsa, all'epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, mentre 5 anni e mezzo per Francesco Cavallo. Cinque anni per Luciano Soligo e per Luca De Cianni, quattro anni per Tiziano Testarmata, per Francesco Di Sano tre anni e tre mesi. Tre anni di carcere per Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma. Infine, un anno e un mese per Massimiliano Colombo Labriola. Il pm inoltre ha chiesto per Casarsa, Cavallo, De Cianni e Soligo l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e di cinque anni per Di Sano, Sabatino e Testarmata.
Il pm: "Paese preso in giro per anni"
Nel corso della requisitoria, il pm Giovanni Musarò ha affermato che è stato "un processo lungo e difficile. Un intero Paese è stato preso in giro per sei anni". Nelle due udienze interamente dedicate al suo intervento, il rappresentante dell'accusa ha ricostruito l'intera vicenda iniziata nell'ottobre del 2009, quando Cucchi morì a sette giorni dall'arresto per droga. Il magistrato ha sostenuto che "l'attività di depistaggio è stata ostinata, a tratti definirei ossessiva".
Nella scorsa udienza il rappresentante dell'accusa ha ribadito che "non è un processo all'Arma dei carabinieri e vogliamo evitare qualsiasi strumentalizzazione". Non è un processo all'Arma sia "per ragioni formali che sostanziali: il ministero della Difesa si è costituto parte civile, gli atti più importanti - ha detto nel corso della requisitoria Musarò - ci sono stati forniti dal reparto operativo e nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Roma e anche il comando generale 'all'ultima curva' ci ha fornito una tessera mancante. L'Arma è un corpo con 200 anni di storia, con persone che lavorano nelle strade e negli uffici e anche per loro non deve essere un processo".
Le parole del pm
Per il l'accusa, il giudice è chiamato "a valutare non singole condotte isolate ma un'opera complessa di depistaggi durati anni". Si tratta di iniziative "caratterizzate dalla volontà - ha aggiunto Musarò - di ostacolare l'individuazione dei fatti. Quello che è emerso con evidenza dalla fase dibattimentale è che i depistaggi non si sono fermati al 2018 ma sono andati avanti fino al febbraio 2021: sono state alzate tante cortine fumogene". I depistaggi, secondo l'impianto accusatorio, partirono proprio da Casarsa e a cascata furono 'messi in atto' dagli altri secondo i vari ruoli di competenza. Per i pm sei indagati "avrebbero attestato il falso in una annotazione di servizio, datata 26 ottobre 2009, relativamente alle condizioni di salute di Cucchi", arrestato dai carabinieri della stazione Appia e portato nelle celle di sicurezza di Tor Sapienza, tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Un falso, per il pm, che fu confezionato con "l'aggravante di volere procurare l'impunità dei carabinieri della stazione Appia responsabili di avere cagionato a Cucchi le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso". In una seconda nota si attestava falsamente che Cucchi riferiva di essere dolorante per il freddo e la magrezza, secondo i carabinieri. Nel chiedere le "generiche" per Colombo Labriola, all'epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza, il pm ha spiegato che "è l'unico che ha detto tutto, che non si è sottratto alle domande, che non ha scaricato la responsabilità sugli altri: ha accusato tutti gli ufficiali".