La Cassazione ha confermato la sentenza a 5 anni e 6 mesi di reclusione emessa in relazione al fallimento della casa di produzione
È stata confermata dalla Cassazione la condanna a 5 anni e 6 mesi di reclusione per Vittorio Cecchi Gori in relazione al crac della casa di produzione Safin. Sarà rivista solo la durata delle pene accessorie nell'appello bis.
L'impero crollato
I giudici hanno reso definitiva per l'imprenditore toscano, che da decenni vive a Roma, la pena, decisa nell'ottobre del 2018 dalla Corte di appello romana, per il crac da 24 milioni di euro. Ora saranno i giudici dell'esecuzione a valutare le istanze legali che saranno messe in campo per evitare il rischio carcere che è scattato come accade per tutte le condanne superiori ai cinque anni di reclusione che passano in giudicato, in ottemperanza alla circolare Flick che aziona procedure contro le fughe. Tra le carte da giocare, quella della salute. Cecchi Gori lo scorso settembre è stato operato d'urgenza per una peritonite al Policlinico Gemelli, dove era stato ricoverato anche nel 2017 per un ictus. Dopo il sequestro della sua abitazione a Palazzo Borghese, con la cocaina trovata in cassaforte ai tempi del legame con Valeria Marini, finito con una denuncia per lesioni poi ritirata dalla soubrette, Vittorio, 78 anni ad aprile, è tornato a vivere, talvolta anche agli arresti domiciliari, nella più 'modesta' abitazione ai Parioli, dove viveva il padre Mario, l'uomo che fondò l'impero Cecchi Gori, ormai disfatto, lasciando un segno nel cinema italiano.
L'inchiesta Safin
Per il filone d'inchiesta Safin, Cecchi Gori, un passato da senatore della Repubblica per due mandati, è stato arrestato nel 2008 e ha trascorso circa quattro mesi con misure cautelari, ma non bastano a superare lo scoglio dei cinque anni e due mesi che rimangono per saldare il conto con la giustizia. Inutile in Cassazione l'estremo tentativo del suo legale, avvocato Massimo Biffa, di ottenere un rinvio. I supremi giudici confermato la condanna, dopo una camera di consiglio non lunga. In appello la condanna a sei anni di reclusione era stata ridotta di sei mesi per la prescrizione di un reato, ed erano usciti di scena gli altri imputati che avevano patteggiato. Si tratta di Luigi Barone (collaboratore di Cecchi Gori, tre anni e 4 mesi), Giorgio Ghini (presidente del collegio sindacale, 3 anni) e Alessandro Mattioli (componente del collegio sindacale, 3 anni). Altri due imputati sono morti dopo il primo grado e dunque era rimasta 'attiva' solo la posizione di Cecchi Gori. Secondo l'accusa gli indagati avevano continuato a gestire la Safin dissipandone parte rilevante del patrimonio fino alla primavera del 2007 benché non facesse più parte del gruppo societario di Cecchi Gori dall'ottobre 2006, quando la 'capofila' Finmavi, la cassaforte finanziaria, è stata dichiarata fallita. Nel 2006, Vittorio è stato condannato dalla Cassazione per il fallimento della Fiorentina, a tre anni (coperti dall'indulto) e quattro mesi.
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