In vista della manovra, spesso i titolari del Mef sono al centro di attacchi da parte di esponenti di governo, opposizioni e altre istituzioni. Negli ultimi anni, l’autunno caldo in via XX Settembre ha coinvolto Tremonti e Grilli, Saccomanni e Padoan, fino a Tria
“Per fare il ministro dell’Economia in Italia ci vuole coraggio”, ha detto una volta Fabrizio Saccomanni quando occupava la poltrona del Mef. Probabilmente non è adrenalinico come lanciarsi con un paracadute ma scrivere una legge di Bilancio comporta a suo modo una dose di rischio: frizioni con altri ministri o con il premier, attacchi dalle opposizioni, scontri e polemiche con chi è alla ricerca di un qualsiasi punto debole nella manovra.
Le frizioni Tria-Di Maio
L’ultimo caso è quello del ministro Giovanni Tria, attuale reggente del dicastero, che di recente ha avuto modo di battibeccare a distanza con il vicepremier Luigi Di Maio e con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte su una serie di temi legati alla prossima legge di Bilancio. Tria, come molti suoi predecessori, ha il difficile compito di misurarsi con le proposte in arrivo da Palazzo Chigi cercando di far quadrare i conti. Salvini e Di Maio hanno chiesto più margini in vista della manovra e il ministro li ha frenati. Il pressing gialloverde prevede l’inserimento nel testo di reddito di cittadinanza, flat tax, riforma della legge Fornero, pace fiscale. I botta e risposta sono all’ordine del giorno ed è stata anche evocata (e poi smentita) l’ipotesi di dimissioni per il ministro. Il diktat, imposto da Di Maio, è solo uno: “Tria trovi le risorse”.
Tornando a ritroso e restando solo negli ultimi 15 anni, l’autunno caldo (che spesso inizia già in primavera) dei ministri di via XX Settembre alle prese con la Finanziaria ha coinvolto Tremonti e Grilli, Saccomanni e Padoan. Ecco alcuni degli episodi più eclatanti:
Lo scontro Tremonti-Fini del 2004
Dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni del 2001, Giulio Tremonti è diventato ministro dell’Economia del secondo governo Berlusconi. Le sue politiche economiche hanno creato uno scontro aperto con Gianfranco Fini, all’epoca leader di An, vicepremier e alleato della maggioranza. Fini voleva una “cabina di regia” per il ministero e nel 2004 durante la discussione della “verifica” accusò Tremonti di avere “truccato i conti” della manovra precedente. Il ministro si difese motivando con ragioni contabili ma il caso portò a una richiesta di dimissioni del ministro da parte di An, pena l’uscita del partito dall’esecutivo. Tremonti fu quindi costretto a lasciare e Berlusconi assunse l’interim prima della nomina di Siniscalco.
I malumori Berlusconi-Tremonti
Nel 2008, il quarto governo Berlusconi, si è affidato ancora a Tremonti come ministro dell’Economia e delle Finanze. I due portarono avanti un rapporto conflittuale, costantemente in bilico tra richieste di risorse da parte del premier e puntuali frenate del ministro. Il picco della tensione si raggiunse tra il 2010 e il 2011. A maggio 2010 Tremonti arrivò a ventilare le dimissioni dopo aver presentato in Cdm una manovra molto dura che causò malumori tra gli altri ministri e non piaceva nemmeno al premier. Ma alla fine Tremonti vinse la battaglia. Inutile dire che lo scontro venne solo rimandato all’anno successivo. Nel 2011 l’Italia cadde in piena crisi economica, con lo spread alle stelle e la minaccia del tracollo finanziario. "Niente dimissioni: in tasca ho solo una manovra molto seria e responsabile”, disse il ministro a giugno. Il sottosegretario Crosetto lo attaccò dicendo che “le bozze della manovra andrebbero analizzate da uno psichiatra”. E in un fuori onda per illustrare la legge di Bilancio volarono insulti con Brunetta. Passarono pochi mesi e Tremonti si astenne dal voto che ha di fatto bloccato l’approvazione dell'assestamento di Bilancio. E quell’autunno caldo terminò con la caduta dell'esecutivo Berlusconi.
Le manovre Monti e Grilli
Al Cavaliere è subentrato il governo tecnico guidato da Mario Monti, che assunse anche l’interim all’Economia per varare in tempi strettissimi la manovra ribattezzata “Salva Italia”. Il provvedimento monstre da 30 miliardi lordi, ricordato soprattutto per il pianto del ministro Elsa Fornero durante la presentazione della stretta alle pensioni, venne anticipato da giorni di enorme tensione. Feroci critiche dal Pdl al Pd, fino ai sindacati, per una manovra definita "lacrime e sangue", senza "pensare alla crescita e al bene del Paese”. E ad infuocare il clima arrivarono anche minacce per la legge di Bilancio, con tanto di proiettili in una busta, spedita e Monti e altri ministri dal Movimento Armati Proletari. “Vi faremo maledire queste misure col sangue”, si leggeva nella rivendicazione. Andò un po’ meglio l’anno seguente, quando intanto al ministero dell’Economia era stato nominato Vittorio Grilli. Arrivarono ancora critiche da parte dei partiti e sindacati, ma anche da Istat, Corte dei Conti e Bankitalia. La Cgil parlò di un "provvedimento doloroso e iniquo”. Eppure Grilli, seppure accerchiato, tirò dritto sulla sua proposta: "Criticare la manovra è un suicidio”, disse di ritorno da un vertice internazionale.
Le critiche a Saccomanni
Nel 2013, con il governo Letta in carica, toccò al ministro Fabrizio Saccomanni elaborare la legge di Stabilità. Già da settembre scoppiarono le tensioni interne alla maggioranza: il Pdl lo attaccò pesantemente su vari temi e in parte la bozza venne ritoccata ma tra le conseguenze portò alla decisione della neonata Forza Italia (dopo la scissione degli alfaniani) di motivare l’uscita dal governo con il maxiemendamento alla legge di stabilità. A gennaio il malcontento contro Saccomanni si estese anche ai renziani, che dopo dopo il dietrofront del governo sulla restituzione degli scatti delle buste paga degli insegnanti furono costretti a smentire la richiesta di dimissioni nei confronti del ministro.
Le tensioni Renzi-Padoan
Da ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha avuto un rapporto altalenante con Matteo Renzi, sia quando quest’ultimo sedeva a Palazzo Chigi che quando è ritornato ad essere segretario del Pd. Sulla manovra del 2016 hanno avuto visioni molto diverse sul grado di austerità da proporre. Anche l’anno scorso, con Gentiloni premier, il tema della flessibilità ha creato scompiglio tra Palazzo Chigi e via XX Settembre. E un braccio di ferro continuo, tutto interno al Pd. La manovra è stata a lungo criticata anche da Susanna Camusso della Cgil, secondo cui “difende le rendite e mantiene le diseguaglianze”.