Meloni e Schlein, il weekend del duello (a distanza)

Il weekend è destinato ad alimentare l’idea – corretta non so, prevalente direi di sì – che il duello che conta nella politica italiana sia quello tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Nel centrodestra – a meno di vere e proprie rivoluzioni o clamorosi inciampi, alternative non se ne vedono. A sinistra, in realtà, dubbi ce ne sono e il modo in cui saranno sciolti è, anch’esso, parte del percorso della ancora incerta coalizione. Schlein ha più voti, Conte molti meno. Ma il capo dei Cinquestelle è già stato presidente del consiglio - allure che non si cancella – e nella seconda esperienza con il Pd in maggioranza. Più di qualcuno, allora, lo indicava come leader predestinato dei progressisti italiani. Quindi, ogni volta che si crea l’occasione di essere in diretta e solitaria competizione con la premier, Elly Schlein può sfruttarla per alimentare l’idea che l’unica competitor è lei, senza però dirlo esplicitamente. Allora, nel fine settimana, Atreju contro l’assemblea del Pd. Fossero programmi Tv, il confronto sarebbe impietoso, improponibile. Un ricco contenitore da sabato sera contro ore di parole sempre nel tentativo – e nella speranza – di dire cose di sinistra. Almeno da parte della maggioranza che comanda al Nazareno e che ha sempre in mente – come una specie di mantra – la battutaccia di Nanni Moretti. Se l’audience fosse una misura del consenso elettorale – e non siamo così sicuri che non lo sia – le elezioni avrebbero un risultato segnato. Se se ne parla è perché nessuno è sicuro nemmeno del contrario e, comunque, manca un sacco di tempo. Certo, se nel giorno in cui Giorgia chiude Atreju, Elly parla all’assemblea del Pd è chiaro che a molti viene in mente il termine - molto televisivo – di controprogrammazione. La possibilità di vederle duellare faccia a faccia è sfumata presto. Ci si accontenta del duello a distanza. Entrambe le leader hanno spine nel fianco che proveranno a togliersi o, per lo meno, a rendere meno fastidiose. Spine di natura simile e questo spiega almeno in parte perché in tempi ormai distanti, sono stati al governo insieme, le spine: Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Con idee che – simmetricamente – si distaccano da quelle degli amici della maggioranza di governo e da quelle della eventuale maggioranza di domani . Certo, fa più rumore la battuta del capo dei Cinquestelle sul fatto che l’Europa debba lasciar trattare Trump sull’Ucraina, piuttosto che la tradizionale ritrosia del Carroccio ogni volta si tratta di confermare aiuti militari a Kiev. E però, il dissenso all’interno del governo – vista la situazione critica – va risolto con urgenza, quella stessa urgenza che Mattarella ha trasmesso nel suo discorso al corpo diplomatico. L’opposizione ha più tempo ma – come si dice – chi ha tempo non aspetti tempo. Meloni ribadirà il suo appoggio all’Ucraina quasi senza se e senza ma e minimizzerà i distinguo salviniani. Nessuno dei due può o vuole allontanarsi da Trump. È un bel collante. E, alla fine, questa edizione di Atreju confermerà l’impressione che i Fratelli d’Italia vogliono essere egemoni e popolari, non come lo fu il fascismo nel ventennio ma come, piuttosto, lo fu la Democrazia Cristiana nel quarantennio. Dall’altra parte, Schlein userà l’occasione per constatare come la sua maggioranza cresce e sarà comunque generosa con quel che resta degli altri – ormai orfani di Bonaccini. Che non può esserci dubbio che lei sarà la candidata del Pd alla presidenza del Consiglio. Che Conte è perdonato ma che, ora, basta. Repetita iuvant. Forse.

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Massimo Leoni