Riarmo europeo, a che punto è il settore della difesa in Italia?

Il dibattito sul riarmo sta infiammando l'Europa. Dopo la proposta della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di un piano per riarmare il Vecchio Continente, la questione della difesa dell'Unione è tornata al centro dei riflettori. Il piano avanzato da Bruxelles, inizialmente presentato come ReArm Europe e successivamente rinominato Readiness 2030, nasce per colmare le lacune interne di capacità militare dell'Ue. Tra gli obiettivi principali del programma c'è quello di sostenere l'industria europea, rafforzare il mercato della difesa, migliorare la preparazione dell'Europa agli scenari peggiori, consolidando le frontiere verso est e fornendo supporto all'Ucraina. Non solo. Il piano di riarmo punta anche ad accelerare la trasformazione della difesa attraverso l'innovazione con l'intelligenza artificiale e la tecnologia quantistica, e implementare il partenariato con i Paesi del mondo che condividono gli stessi principi europei. Per portare a termine questi obiettivi, il piano della Commissione Europea prevede di convogliare nel Readiness 2030 circa 800 miliardi di euro. Ma dove si trovano questi fondi? Circa 650 miliardi arriveranno dall'aumento dei bilanci dei singoli Stati, che potranno a questo scopo attivare la clausola di salvaguardia nazionale del patto di stabilità e crescita fino a un massimo dell'1,5% del Pil annuo e per un massimo di quattro anni. Altri 150 miliardi arriveranno invece in forma di prestito agevolato, come stabilito dal piano Safe, da parte della Commissione ai singoli Stati membri: soldi che Bruxelles reperirà finanziandosi sul mercato. Sul tema si sono confrontati, durante la nuova puntata di Materia Grigia, il talk di confronto condotto da Fabio Vitale con la cura editoriale di Roberto Palladino, Luigi Chiapperini, generale di corpo d'armata in quiescenza dei lagunari e già comandante del contingente multinazionale Nato in Afghanistan nel 2012, e Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana Pace e Disarmo. Siete favorevoli o contrari al piano di riarmo europeo? Chiapperini: Io credo che sia indispensabile alla luce delle minacce che sono immanenti o potenziali nei confronti dell'Europa e anche alla luce del nuovo scenario mondiale che si è aperto con una nuova postura degli Stati Uniti. Credo che il piano miri, da un lato, a permettere di colmare le carenze capacitive dei singoli Stati, carenze che scaturiscono da anni e anni di sottofinanziamento al settore difesa, e dall'altro - proprio alla luce di questo possibile sganciamento degli Stati Uniti dalle questioni europee - ad assicurare all'Europa quelle capacità strategiche che sinora erano assicurate solo dagli Stati Uniti. Questo piano viaggia su un binario parallelo, ma che poi converge nella possibilità per l'Europa di riunire efficacemente i singoli Paesi per far fronte alle minacce che attualmente conosciamo. Vignarca: Per noi no, per noi il riarmo non funziona, non funziona per essere più sicuri. Non è vero che c'è stato un sottofinanziamento dell'ambito della difesa: negli ultimi 25 anni circa le spese militari mondiali sono raddoppiate in termini costanti. Negli ultimi dieci anni, solo per guardare la parte di procurement, i Paesi europei della Nato sono passati dal 18% al 32% delle loro spese militari per nuovi armamenti. Quindi, in realtà, sarebbe come continuare una strada che ci ha portato in una situazione di problematicità, di insicurezza, perché non c'è più collaborazione, non c'è più cooperazione, si è eliminata la diplomazia, si è eliminato il negoziato. Questa è anche una critica non solo dal punto di vista pacifista, disarmista, ma anche nell'ottica di una difesa comune dell'Europa. Questo è un piano di riarmo assolutamente solo nazionale, che non arriverà agli 800 miliardi perché non tutti i Paesi hanno la possibilità - pur facendo la clausola di salvaguardia - di attivare gli stessi fondi sul mercato. Il piano favorirà tantissimo la Germania, che i soldi li ha, e non favorirà la convergenza. L'abbiamo già visto in dieci anni di European Defense Fund e di altri fondi: l'industria, se non è obbligata da qualcosa che sta sopra - cioè da una politica europea estera e di difesa - prenderà i soldi, farà i suoi contratti, ma poi non contribuirà davvero a una convergenza. Una volta che gli Stati nazionali avranno preso più aerei, più navi, più carri armati, in Europa chi deciderà quando utilizzarli? Chi deciderà dove mandarli? Serve un passaggio politico, prima che monetario e industriale. Nel caso in cui l'Italia venisse attaccata, sarebbe in grado di difendersi? Avrebbe le armi per poterlo fare? Vignarca: Si tratta di congetture difficili da fare. Attaccata da chi? Attaccata per cosa? Sicuramente non credo che negli ultimi anni ci sia stato un sottofinanzamento, come ho già detto. Per anni i vertici militari, i vertici della difesa, ci hanno detto che eravamo comunque in buone mani, che stavamo acquistando quello che serviva: addirittura abbiamo più linee di caccia bombardiere, addirittura abbiamo più linee navali, più linee terrestri. Allora, da chi sarebbe attaccata? Se paventiamo purtroppo un'ipotesi di scontro epocale - se vogliamo - con la Russia, quello avrebbe un'escalation quasi immediata dal punto di vista nucleare. Quindi di fronte a un attacco nucleare, una guerra nucleare, non c'è preparazione che tenga, purtroppo. Noi lo diciamo da anni nelle nostre campagne internazionali e abbiamo anche ottenuto un trattato in tal senso. Di fronte ad attacchi convenzionali, credo che il fatto che l'Italia abbia sia la clausola dell'articolo 5 della Nato, sia la mutua assistenza anche dei Paesi dell'Unione Europea - che esiste già - possa metterla a riparo. Il problema nostro è che, con il famoso paradosso della sicurezza, continuare a spingere solo sul vedere minacce militari e solo su una preparazione militare, senza evitare e senza togliere quelle che sono le motivazioni di base che portano poi a questa escalation, rischia di essere davvero controproducente: un boomerang più che una preparazione. Noi riteniamo che avremo bisogno di altro, di investire in cooperazione, di rilanciare una grande conferenza di pace come cinquant'anni fa è stata quella di Helsinki, che ha aiutato poi a far finire la guerra fredda. Chiapperini: La minaccia dipende da chi e da come la porta avanti. Noi abbiamo soldati meravigliosi e preparati, abbiamo forze armate di alto livello, ma sono - secondo il mio parere - insufficienti quantitativamente e hanno delle grosse carenze capacitive. Se ci fosse oggi un attacco missilistico contro l'Italia, portato da Russia o Iran o un domani da altri attori globali o regionali, l'Italia non sarebbe in grado di proteggersi. Se l'Italia, ipoteticamente, fosse stata attaccata - come è stata attaccata l'Ucraina - dalla Russia, l'Italia non sarebbe stata in grado di resistere come ha fatto l'Ucraina. Il fatto che ci siano minacce attuali e in futuro potenziali è un fatto acclarato, altrimenti non si spiegherebbe perché la Gran Bretagna, dopo la Brexit, si è riavvicinata all'Europa anche militarmente, perché il Canada si è riavvicinato all'Europa, perché due nazioni che sono storicamente neutrali come la Svezia e la Finlandia hanno chiesto di entrare a far parte della Nato. Vignarca: Il punto è che non bisogna valutare una preparazione su delle ipotesi astratte come “la Russia domani ci invade”. Non siamo confinanti. Mi domando allora: se è vero, come dice il Generale, che non saremmo pronti a resistere come gli ucraini, dove sono andate tutte le decine di miliardi di spesa militare degli ultimi anni, molto più di quelle degli ucraini? In cosa sono state spese? Questo è il rischio di paventare degli scenari che sono molto astratti e non ci aiutano invece a valutare quelle che sono le minacce reali. Chiapperini: Il finanziamento alle forze armate è stato assolutamente insufficiente. La dimostrazione sta nel fatto che l'esercito, ad esempio quello italiano, non ha assolutamente una componente corazzata credibile, non ha artiglierie, non ha munizioni, non ha droni, non ha una serie di altre capacità. Ciò non è dovuto al fatto di scelte sbagliate, ma perché il budget era assolutamente insufficiente. L'Italia dovrebbe raggiungere il 2% del Pil, pari a poco meno di 40 miliardi, oppure destinare queste risorse su altro? Chiapperini: Questo limite dell'obiettivo del 2% intanto è stato promesso da tutti i governi che si sono avvicendati negli ultimi anni. Lo hanno fatto ufficialmente nei vertici Nato ad esempio. Ora questa data per il raggiungimento di questo obiettivo è stata procrastinata più volte, attualmente è stata portata al 2028. In realtà si è trattato di un sottofinanziamento e i risultati sono alla luce di tutti. L'Aeronautica e la Marina sono messi un po' meglio, e meno male, l'esercito italiano ha le gravissime carenze di cui parlavo prima. Quanto dovremmo spendere in più per raggiungere questo 2% o superare eventualmente questo 2%? Si parla di 10 miliardi in più, 20 miliardi in più. Molti stanno dibattendo su questi miliardi in più che invece potrebbero essere utilizzati in altri campi, ma è una scelta politica. Io dico che la difesa di una nazione è assolutamente prioritaria e che con quei 10-20 miliardi in più andiamo a proteggere tutto ciò che realizziamo con i rimanenti 2.200 miliardi del Pil. Vignarca: Prima di tutto noi pensiamo che sia sbagliato fare un rapporto sul Pil: 2.200 miliardi sono la ricchezza prodotta dal nostro Paese. Lo Stato ha meno soldi, lo Stato ha un budget di 700 miliardi, quindi i conti andrebbero fatti su quello che è il budget dello Stato, non sulla ricchezza. Il 2% è proprio sbagliato in termini concettuali come dato preventivo. Non lo so neanche quale sarà il Pil del 2025, come faccio a mettermi in questo senso. La scelta del 2% era stata fatta per fare alzare la spesa militare di tutti, era una promessa, sì, ma come sono state fatte altre promesse. Più di cinquant'anni fa anche il nostro Paese ha promesso lo 0,7% della cooperazione allo sviluppo, non ha mai raggiunto neanche lo 0,3. Non è una cosa vincolante, quindi è comunque una scelta politica. Non siamo obbligati, possiamo fare diversamente anche se è stato promesso. Credo che sia sbagliato dare questo come parametro, perché in realtà c'è tutta una serie di altre necessità. Io credo che poi la spesa militare sia già cresciuta: i nostri dati di Osservatorio Milex, ma anche i dati della Nato, dimostrano che negli ultimi dieci anni c'è stato un aumento di oltre il 65% della spesa militare italiana. Negli ultimi cinque anni la spesa per armamenti è cresciuta del 77%, quindi dove sono finiti questi soldi? Io credo che per provare a proteggere qualcosa occorra poi creare questo qualcosa. Io credo anche – oltre al fatto che la spesa militare dovrebbe essere invece destinata a welfare, sanità, istruzione, educazione, e per avere anche un maggiore ritorno economico - che se noi spendessimo in altro, saremmo anche più sicuri. Perché la sicurezza vera non arriva dalla forza, dalla fortezza che abbiamo, ma arriva dalla capacità di interagire e di creare una sicurezza comune condivisa internazionale. Chiapperini: Assolutamente concordo sul fatto che si possa creare una difesa comune perché quella potrebbe portare a una razionalizzazione delle spese e a tanti altri obiettivi che da soli i singoli Paesi non fanno. Sul fatto che negli ultimi anni sia cresciuta la spesa per la difesa, assolutamente sì. Io dico anche meno male, per fortuna. Ma ancora oggi ci sono quelle gravissime carenze capacitive militari di cui soffre in particolare l'esercito italiano.

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