Competitività, difesa, energia: le tre sfide che Draghi pone all’Ue

Mario Draghi invita l’Europa a prendere coscienza delle sfide economiche e geopolitiche di un mondo sempre più complesso, caotico e competitivo e ammette chiaramente che dopo la svolta imposta da Donald Trump sul commercio internazionale nulla sarà più come prima nei rapporti tra partner occidentali. Da Coimbra, in Portogallo, dove ha parlato nella giornata di ieri al simposio della Fondazione Cotec sull’Europa, l’ex presidente del Consiglio italiano ed ex governatore della Banca centrale europea ha ammonito che gli eventi recenti rappresentano un "punto di svolta" dato che l'unilateralismo di Trump e le sue azioni tariffarie rivolte indistintamente contro alleati e rivali degli Usa "hanno minato l'ordine multilaterale in un modo difficilmente reversibile". Draghi legge le sfide di un mondo che cambia Per il banchiere romano questo ha reso palese l'impatto di "profondi cambiamenti nel commercio e nelle relazioni internazionali che sono in atto da diversi anni" nel contesto di una situazione in peggioramento. Draghi, autore a settembre di un rapporto sulla competitività per la Commissione Europea che ha fatto molto discutere leader e addetti ai lavori, ha lanciato un nuovo appello al Vecchio Continente perché si adatti alle logiche competitive che mettono a rischio il suo modello di sviluppo. L’Unione Europea negli ultimi decenni ha potuto contare su un modello di crescita fondato sull’apertura dei mercati e la crescita delle esportazioni, sull’interconnessione mercantile globale, sulla garanzia di forniture energetiche a basso prezzo da attori come la Russia e sull’assicurazione fornita dalla protezione militare americana. Gradualmente, tutto questo è venuto meno. “Dal 2020”, nota Draghi, “abbiamo perso il nostro modello di crescita, il nostro modello energetico e il nostro modello di difesa”, aggiungendo che “i cittadini europei avvertono acutamente il senso di crisi”. Per l’ex capo del governo “crescita, energia e difesa sono i settori fondamentali in cui i governi devono provvedere ai propri cittadini, eppure in ognuno di essi ci siamo trovati ostaggi della fortuna ed esposti alle decisioni imprevedibili degli altri”. L’Europa in un mondo caotico Ora, per l’Europa è tempo di prendere in mano le redini e decidere del suo futuro adattando la sua economia e la sua governance a nuovi paradigmi. A Coimbra Draghi parla in maniera ancora più netta rispetto al passato. A febbraio, quando si intravedeva l’offensiva commerciale statunitense, dalle colonne del Financial Times l’ex banchiere centrale europeo aveva invitato l’Ue a riconsiderare molti dei regolamenti introdotti in passato, dalle normative ambientali più stringenti a quelle sulla governance tecnologica, e invitato a superare burocrazie e una mancata armonizzazione che, aveva detto, equivale a dei freni all’innovazione, dunque a dazi autoimposti. Nel suo intervento in Portogallo l’ex premier propone soluzioni e programmi concreti: eliminare le barriere che ostacolano il funzionamento del mercato interno, utilizzare il debito comune per finanziare la spesa collettiva dei Paesi membri dell'Ue e creare un asset europeo a cui tutti possano fare riferimento per finanziarsi e stimolare l'iniziativa dei mercati dei capitali, sburocratizzare i processi autorizzativi per la costruzione di reti energetiche e impianti di generazione, concentrare la corsa tecnologica in piani attuabili in tempi stretti come quello di "creare un cloud strategico europeo che ci garantisca la sovranità dei dati in settori critici, come la difesa e la sicurezza". Nettissima anche la presa di posizione sulla sicurezza: “Dobbiamo ridurre la frammentazione della nostra industria della difesa, incoraggiare il consolidamento in pochi grandi attori, creare un piano di difesa europeo basato sull'interoperabilità tra tutti i mezzi militari che produciamo: terra, mare, aria e spazio”, nota Draghi. Il quale aggiunge che “dobbiamo creare un cyberspazio europeo sicuro attraverso un maggiore coordinamento e investimenti in tecnologie digitali comuni”. Il filo rosso di queste parole è chiaro e preciso: occorre acquisire crescenti gradienti di indipendenza e autonomia dalle linee strategiche statunitensi, pena l’essere costretti ad appaltare fuori dall’Europa le scelte decisive per la sopravvivenza del blocco. La linea Draghi per l’autonomia europea La linea è quella tracciata dal Rapporto sulla Competitività, rafforzata con un chiaro indirizzo politico orientato all’autonomia strategica europea. Del resto, per i fautori di quest’ultima il momento-chiave è adesso: con il nuovo governo di Friederich Merz in Germania che si ripropone di essere un esecutivo di svolta, la Commissione Europea attiva nel promuovere grandi investimenti in settori strategici come la Difesa negli anni a venire e un vento favorevole alle iniziative comunitarie congiunte, Draghi sa di poter parlare a un uditorio recettivo e attento. Il risveglio necessario è stato indotto dalle mosse compiute oltre Atlantico: "Lo shock politico proveniente dagli Stati Uniti è enorme", nota Draghi, aggiungendo che in Europa ci troviamo in una fase in cui "i rischi materiali che corriamo per la nostra crescita, i nostri valori sociali e la nostra identità incombono su tutte le nostre decisioni". Dette da un fautore dei legami transatlantici come l'ex premier, queste parole acquisiscono ulteriore valenza anche per l'invito fatto all'Europa a non trovarsi esposta "alle decisioni imprevedibili degli altri". La posta in gioco è il futuro dell’Europa come attore autonomo, battaglia fondamentale in un contesto in cui le priorità del Vecchio Continente e quelle degli Usa non sono mai state così divergenti da 80 anni a questa parte.

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