Meloni-Trump: i rischi evitati e quelli da evitare

Finita la 36 ore Italia-Usa. Meloni e Trump. Meloni e Vance. Poi Vance e Tajani, Vance e Salvini, Vance con Meloni e Salvini. Cortesie per gli ospiti, al di là e al di qua dell’oceano. Clima cordiale, quasi familiare. Neanche l’ombra delle ormai famose “bullizzazioni” della Casa Bianca, che molti temevano e nessuno poteva escludere. Letture opposte da parte della maggioranza e dell’opposizione. Trionfo diplomatico per la destra di governo, conferma della leadership di Giorgia Meloni, fuori e dentro i confini nazionali, quasi azzerate le tensioni provocate dalla concorrenza interna – soprattutto tra la presidente e il suo vice Salvini – su chi fosse più vicino all’amministrazione americana e amico di Trump e Musk. L’opposizione – con il solo Calenda fuori dal coro – si unisce nel giudizio negativo delle ultime ore di incontri. “Svendita” è Il concetto – se non la parola – ricorrente. Entrambi sono giudizi molto orientati dall’appartenenza politica. E in entrambi c’è del vero. Giorgia Meloni ottiene un buon successo anche personale. Non scontato. Si sottrae alle tentazioni – e forse all’interesse dell’interlocutore – di una trattativa “italiana” sui dazi. La questione resta affare europeo, lei si pone come facilitatrice. L’assenso di Trump per una prossima visita a Roma, la possibilità in quella sede di avere un confronto con le istituzioni europee e magari con un certo numero di capi di Stato e di governo, sembrano passi avanti di rilievo. La sostanziale instabilità delle posizioni del presidente americano aggiunge un’alea non trascurabile, ma se si sta alle parole dette sembra controproducente sottovalutare il risultato, soprattutto in sede europea. E infatti Von der Leyen, con tutta la cautela del caso, non ha sottovalutato. Paradossalmente, i pericoli della 36 ore Roma-Washington sono più nel rapporto bilaterale tra i due Stati, tra i due governi. Nonostante le cordialità, è difficile pensare a un rapporto alla pari tra Italia e Stati Uniti. Innanzitutto per motivi di peso, di dimensioni sulla scena internazionale. Poi – motivo per nulla trascurabile – perché l’attitudine di questa amministrazione americana è di non trattare nessuno alla pari. Blandire un alleato - che è membro fondatore di un Europa che a Washington non amano - può essere un modo per farne uno stato satellite e, al contempo, un cavallo di Troia insidioso per Bruxelles. Non è quello che vuole il governo italiano, ma bisogna essere accorti a non arrivare a uno stadio di “corteggiamento” troppo avanzato. Ancora. Le promesse uscite dallo Studio Ovale – e che trovano spazio nella nota finale – sembrano tutt’altro che reciproche. Spiccano in particolare gli impegni sulla spesa militare e sugli acquisti di gas. Entrambi “a carico” dell’Italia. E se il primo era una cosa data negli ultimi mesi per scontata, sul secondo qualche perplessità è lecita. La decisione sulle scelte di approvvigionamento sulla base di simpatie o convenienze politiche mette una pietra sopra a un cammino già difficile come quello della transizione energetica e climatica. Ma sembra accantonare pure i ragionamenti sulla “neutralità”, che anche secondo questo governo dovrebbe orientare le decisioni in campo sia energetico che tecnologico, peraltro strettamente connessi. Il rapporto con gli Stati Uniti, come tutti quelli tra partner di dimensioni diverse comporta rischi ed opportunità. Mantenere cautela e senso di appartenenza aiuterà a non correre il rischio di diventare non partner privilegiato, ma provincia americana.

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