Zaky e gli altri, il convincente esordio da romanziere di Gipi

“Zaky e gli altri”, il primo romanzo di Gipi pubblicato da La Nave di Teseo, è un libro feroce. Feroce perché non gira intorno alle cose, perché le racconta esattamente così come sono, e perché è sleale, cattivo e onesto. Non è furbo e non è nemmeno provocatorio: racconta la storia di un gruppo di amici, di Zaky e degli altri appunto, e lo fa senza rallentare e cercare compromessi. È spudorato e per qualcuno sarà anche eccessivo. Ma il punto non è questo. Il punto è che Gipi, che viene dal mondo del fumetto, che ha diretto film e cortometraggi, che si è divertito a scrivere monologhi, ha voluto dare ai suoi personaggi una consistenza precisa. Machisti, sporchi, cattivi. Sessisti. Razzisti. Non li ha nascosti. Non ha provato a renderli piacevoli a tutti i costi. Li ha presi, e li ha messi davanti al lettore, offrendoli al suo sguardo e al suo giudizio. Il protagonista sessuomane “Zaky e gli altri” è ambientato su un’isola, probabilmente la Corsica, ed è pieno di sole, mare, turisti e feste. Ma non è un libro modaiolo o superficiale. È un libro che, a modo suo, parla di amore, di possessione e, soprattutto, di amicizia. Gipi ci ha lavorato per diversi anni. E l’ha cambiato, riscritto e aggiustato più e più volte. L’ha fatto più suo e, allo stesso tempo, gli ha dato un’altra vita e un’altra velocità. I libri, a un certo punto, devono potersi muovere da soli. E questo Gipi, che ha fatto delle storie il centro della sua carriera, lo sa bene. Zaky, il protagonista, è un sessuomane: pensa sempre e soltanto al sesso. Finché non incontra Marion, una ragazza di origini francesi che lavora in un bar dell’isola. Una storia che mette a disagio Appena la vede, qualcosa cambia. Dentro di lui, c’è come uno scatto. Per citare il Massimo Troisi de “Il postino”: più la guarda e più si innamora. Ma lui non lo sa. Lui che ha fatto del sesso l’unica discriminante della sua esistenza pensa solo a portarsela a letto, a realizzare le fantasie che gli riempiono la testa. E quando finalmente vanno a casa sua, si riscopre impotente. E si sente condannato, a metà, spezzato. Non più in controllo. Quella di Gipi non è l’ennesima riflessione apatica sul maschilismo tossico; scrive quello che scrive perché ci crede, perché abbia una rilevanza. Non insegue il plauso di nessuno, e non vuole nemmeno compiacere un ipotetico pubblico. Anzi, è molto probabile che “Zaky e gli altri”, per la sua forma e per la sua sostanza, finisca per attirare le ire di un certo tipo di lettori. Ma Gipi sa, e lo sa intimamente, che le storie migliori non sono le storie che ci fanno sentire meglio, che ci dicono che va tutto bene. Le storie migliori sono quelle che ci mettono a disagio, che ci allarmano, che ci ricordano che il mondo non è solo quello che ci circonda, ma che va oltre. Oltre la nostra sensibilità, oltre i nostri amici, oltre i nostri valori. Zaky e i suoi compagni d’avventura sono un prodotto della società. E sono distorti, sicuramente mediocri, spesso superficiali. Ma si vogliono bene. Stanno insieme, in gruppo, perché in qualche modo finiscono per riconoscersi gli uni negli altri, perché si fanno forza a vicenda. E questo Gipi lo sottolinea e lo ripete. Insieme a Zaky, c’è il Biondino, una furia quando si tratta di fare a pugni e un angelo, invece, quando è il momento di prendersi cura di Aldo, suo fratello. E poi c’è Masamba, dolce, sempre pronto a scherzare, che lavora come operaio e che offre agli amici uno sguardo su un altro mondo: quello, appunto, del lavoro. La forza del ritmo La cosa più bella del primo romanzo di Gipi è il suo ritmo, il modo in cui tutto – le parole, i pensieri, i ricordi – sta insieme. E procede spedito e velocissimo. Le frasi si rincorrono, si cercano, e trovano rapidamente una loro forma. Che è diversa, ovviamente, da quello che dicono se prese da sole. Leggere “Zaky e gli altri” è come prepararsi a una maratona: sai qual è la fine, perché il numero di pagine è limitato, ma non sai quando Gipi ti darà modo di riprendere fiato, di fermarti, di rimanere per un po’ con i tuoi pensieri e con le tue considerazioni sulla storia che ha scritto. E questo è un bene. Perché quella che abbiamo tra le mani non è un racconto a lieto fine ma una tragedia. E per le tragedie, che sono sempre così dolorose, è fondamentale essere investiti. Dall’inizio alla fine. E Gipi, con la sua penna, con la sua voce, è in grado di convincerci a seguirlo ovunque.

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