Meno Trump, più Europa

“Alla fine anche l’Italia farà la sua parte”. Sembra una frase fatta ma quando si parla di guerra, riarmo e rischi per una nazione ed un continente, non esistono frasi fatte. E lo è ancora meno se pronunciata ad un consiglio europeo straordinario che, per la prima volta, ha dato il via libera al più ingente piano finanziario per la difesa della sua storia. Giorgia Meloni probabilmente non avrebbe mai voluto trovarsi in questa situazione. E altrettanto probabilmente non pensava che l’arrivo di Donald Trump - su cui inizialmente ha investito parecchio della propria immagine - avrebbe provocato una situazione di questo genere. Invece tocca a lei, gestire il Paese in una delle sue fasi più complicate. La partita Usa, Russia e Cina contro il resto del mondo In quell’assunzione di responsabilità, che all’esterno della stanza dei bottoni è ancora diluita da distinguo tecnici e precisazioni che servono solo a far digerire il “mappazzone”, c’è in realtà una presa d’atto di una minaccia che forse, a Palazzo Chigi, era stata inizialmente sottostimata. E non è tanto o solo per il rischio di uno scontro militare con la Russia, che non è all’orizzonte. Quanto e soprattutto perché la dinamica innescata da Trump sta portando alla riscrittura degli equilibri geopolitici, con la sceneggiatura affidata solo a tre grandi potenze e ai loro leaders: Trump e gli Usa, Putin e la Russia, Xi Jin Pin e la Cina. Non c’è l’Europa, non ci sono i suoi leaders, non ci siamo noi. Con il Vecchio Continente schiacciato da un doppio peso: l’esclusione dal tavolo che decide, la sua collocazione geografica, simmetricamente perfetta per scaricarvi tutte le tensioni di quello che verrà. In poche parole l’Europa rischia di trasformarsi nel campo di battaglia su cui affinare il nuovo sistema, testando su di essa gli effetti degli scontri che durante questo percorso porteranno alla calibrazione del nuovo ordine mondiale. In primis quelli economici, a cui faranno seguito quelli sociali, sperando di non arrivare mai a quelli militari. I ritardi del Vecchio Continente La cosa più incredibile è che l’Europa si è ritrovata debole, indifesa e impreparata su ognuno di questi punti, ed ora deve correre ai ripari. Non da meno, ovviamente, e’ l’Italia che da questa Europa dipende mani e piedi. Ecco perché Meloni dopo aver accarezzato l’idea di un dialogo a due solo con gli Stati Uniti, ora sta virando velocemente verso Bruxelles. La realtà è che nessuno a Palazzo Chigi pensava che “Trump avrebbe fatto Trump” fino a questo punto. Al punto che non si è neppure più del tutto convinti di ciò che si va dicendo, ossia che con Trump si può e si deve parlare. Se prima era una certezza, oggi è un semplice auspicio. Perché nessuno è al momento in grado di capire cosa Trump - e a questo punto anche Putin - saranno veramente in grado di fare, e cosa vogliano veramente fare. L’ imprevedibilità del presidente americano nelle piccole e grandi cose, è in grado di far saltare il sistema in un attimo. Basti guardare ai dazi annunciati, poi applicati, poi sospesi , poi applicati di nuovo a Canada e Messico, poi di nuovo sospesi. Se ad uno sguardo superficiale questa sequenza potrebbe far sorridere, nella realtà questo incomprensibile tira e molla sta bruciando miliardi in borsa, provocando oscillazioni valutarie da far girare la testa, mandando in tilt intere economie. Si sono persi soldi, si è persa stabilità, si è messo sotto stress continuo il sistema. E la cosa più spaventosa è che nessuno sa quanto tutto questo continuerà e in che modo. meloni e Trump, dubbi e paure Ecco allora spiegato perché Giorgia Meloni, punta, sì, a dialogare con Trump, ma non più per una relazione a due, quanto per capire fino a dove vuole arrivare. Da qui quella frase con i partner europei: l’Italia farà la sua parte. Sulle decisioni economiche. Sulle decisioni militari. Sull’eventuale invio di truppe. Non è un caso che all’ennesimo vertice convocato da Macron, quello che riunisce i capi di stato maggiore proprio per capire come poter costruire una forza di peacekeeping, il nostro paese sarà presente. Ufficialmente come “osservatore” e non come “volenteroso” per la costruzione di questa coalizione. Ma ci sarà. Perché qualunque scelta si farà a livello comunitario, l’Italia sarà presente. Non può fare altro. Per il punto in cui siamo. Per le condizioni in cui siamo. Lo sa Meloni, lo sanno le opposizioni, che in questo gioco delle parti provano a speculare un po’ di consenso a basso costo. L’unica speranza vera è che l’Europa, nel suo insieme, possa recuperare velocemente quell’unione e quella identità su cui sino ad ora si è investito più a parole che nei fatti. Perché solo con un esercito in comune, un’economia in comune, un piano di valori in comune, una strategia in comune si può fronteggiare quanto sta avvenendo. Perdersi in protagonismi ideologici o nazionalisti significherebbe lasciar campo libero a chi ci considera un’inutile allegato. Esattamente ciò che bisogna evitare di diventare.

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