Meloni tra “complotti” e “ragion di Stato”

Chi ha avuto il privilegio di vederla negli ultimi giorni la descrive come delusa, amareggiata, sovrastata dall’ira. Per Giorgia Meloni, la chiusura del primo mese dell’anno e’ stata tutt’altro che serena. Prima il rinvio a giudizio di Santanche’, con i suoi tira e molla, i “chissenefrega”’verso il partito - smentiti ma regolarmente registrati - e le dimissioni che in molti vorrebbero ma che non arrivano. Poi la vicenda Al Masri, il torturatore libico scarcerato per ragion di stato, che il governo si rifiuta di ammettere. Per finire con lo spionaggio non autorizzato di giornalisti ed attivisti, anche questo inizialmente negato, salvo poi essere confermato dalla stessa società israeliana che ha sviluppato il software. A fare da cornice - come uno scherzo del destino - il libro del giornalista del Fatto Quotidiano, Giacomo Salvini, in cui vengono pubblicate le chat di FDI in cui si spara a zero sugli alleati. Da Berlusconi a Salvini - in questo caso il ministro - definito addirittura “Bimbominkia” da Giovanbattista Fazzolari, il vero e unico braccio destro della premier. Ma la cosa che più sorprende non è tanto il comprensibile malcontento di Meloni - chi sarebbe felice di gestire grane simili ? - quanto l’approssimazione e la sottovalutazione con cui sembrano essere state gestite tutte queste partite. Passi Santanche’. La ministra, si sa, non è una signora facile da gestire. Se un politico tiene più al proprio ruolo che al bene del suo partito e del governo, poco altro si può fare che non tentare di portarlo a più miti consigli. In poche parole, si prende tempo. Ma su tutto il resto le modalità di gestione appaiono rischiose e pericolose, dando la netta sensazione di una amplificazione del danno più che della sua soluzione. Su Almasri le versioni sono cambiate più volte. E alla fine si è deciso di accusare la Corte Penale Internazionale. Per il ministro degli esteri Tajani “bisognerebbe indagarla perché non è la bocca della verità”. Che è un modo per sostenere che il tribunale dell’Aja “ha ordito un complotto verso il nostro Paese”. Alle retrovie di partito il compito di delineare il quadro con precisione: “potevano fermarlo prima ma hanno aspettato che arrivasse in Italia per spiccare il mandato”. E perché lo avrebbero fatto: “Per mettere in difficoltà il governo su pressioni di Francia e Germania”. Il tutto come se Almasri fosse un galantuomo, e la Corte un branco di delinquenti. La realtà è che bastava appellarsi proprio alla ragion di stato, con tanto di secretazione degli atti, per fare ciò che anche molti altri governi hanno fatto in precedenza per casi simili. Chiudendo gli occhi davanti ad etica e giustizia, per evitare guai peggiori al Paese. Un pragmatismo che questa volta è del tutto mancato alla premier se è vero, come raccontano i suoi, che l’unica a non voler percorrere questa strada sia stata proprio lei. E così ha scelto la via della difficile - o meglio dire impossibile - spiegazione dei fatti. Sentiero sconnesso e scivoloso perché nessuno, neppure Giorgia Meloni, sarà mai in grado di convincere l’opinione pubblica che - fosse anche per un errore di qualche tribunale - sia stato giusto riportare a casa con tanto di volo di stato, un uomo che ha stuprato e torturato pure dei bambini. Non c’è complotto, magistratura politicizzata, nemici visibili o invisibili, che possano rendere minimamente potabile un quadro del genere. Il risultato è simile anche quando si arriva allo spionaggio dei giornalisti e di attivisti delle Ong. Perché lasciar intendere che è tutto dovuto ad una guerra tra bande nei servizi segreti - come si evince dalle dichiarazioni di un vice premier - non solo non rincuora, ma amplifica la paura per una situazione che appare tutt’altro che sotto controllo. Dando la netta sensazione che l’esecutivo non abbia la capacità di governare e dialogare con i vari pezzi del sistema. Altra Immagine che stride con quella di una Meloni “pragmatica e determinata, che non si piega davanti a niente e nessuno”. Ripetere solo questo slogan, significa non aver capito la situazione. Il punto non è piegarsi o meno, ma evitare di essere piegati e scongiurare che lo Stato esca a sua volta piegato da queste guerre intestine. Inutile dire che non aiuta neanche chiamare i cittadini a raccolta contro i magistrati, dando il via ad una guerra dello stato contro un altro pezzo di stato. Perché se anche ci fosse una parte di magistratura che non fa il suo dovere, non si possono demolire le istituzioni davanti al paese, privandolo dei basilari punti di riferimento. Così come se in chat si insultano gli alleati, e’ inutile pubblicare foto sorridenti sui social evocando il decimo intrigo del giorno, moltiplicando immaginarie forze oscure che tramano per affossare il governo. Basterebbe dire la verità, almeno in un caso puerile come quest’ultimo. Che erano altro tempi . E che se anche non ci si piace del tutto, si prova a mettere da parte le differenze per dare un governo alla nazione. Per ragion di stato. Ecco, la “ragion di stato”. Tutto ciò che è mancato in questo inizio 2025.

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