Governo Draghi, un anno fa le dimissioni e l'addio a Palazzo Chigi

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La crisi si inasprisce a metà luglio, poi resta in sospeso per meno di una settimana e infine trova conferma. Dopo 522 giorni finisce l’esecutivo “di alto profilo” che aveva iniziato a guidare il Paese nel 2021. Il malcontento fra i partiti (e di Draghi stesso), la fiducia mancata e l’unità nazionale che si spezza: le tappe

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"Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto questa mattina al Palazzo del Quirinale il Presidente del Consiglio dei ministri professor Mario Draghi, il quale, dopo aver riferito in merito alla discussione e al voto di ieri presso il Senato ha reiterato le dimissioni sue e del governo da lui presieduto". Un anno fa, il 21 luglio 2022, finiva un capitolo della storia italiana recente: cadeva il governo Draghi (LO SPECIALE). Lo aveva comunicato in video dal Quirinale il Segretario generale della Presidenza della Repubblica Ugo Zampetti. L’esecutivo “di alto profilo”, che non doveva “identificarsi con alcuna formula politica” – come lo definì lo stesso Mattarella – lasciava la scena dopo 522 giorni.

L’incarico

L’ex leader della Bce comincia la sua carriera da presidente del Consiglio il 17 febbraio 2021, quando il governo ottiene la fiducia al Senato con 262 voti favorevoli, 40 contrari e 2 astenuti. Il giorno successivo arriva anche quella dalla Camera con 535 voti favorevoli, 56 contrari e 5 astenuti. Al momento, questi numeri rappresentano una delle maggioranze più ampie mai registrate nella storia della Repubblica. Il governo guidato da Mario Draghi è incaricato di affrontare – nel segno dell’unità nazionale – tre gravi emergenze: pandemica, economica, sociale. A queste, si aggiunge in seguito la crisi internazionale derivante dalla guerra in Ucraina, scoppiata per mano di Mosca il 24 febbraio del 2022.

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L’inizio della crisi

La crisi si inasprisce a metà luglio 2022, quando il Movimento 5 Stelle sceglie di non votare la fiducia al governo sulla conversione in legge del decreto Aiuti. In questo provvedimento ci sono molte misure e in particolare i pentastellati non gradiscono quella che consente al sindaco di Roma Roberto Gualtieri di costruire un inceneritore. Un tassello che si aggiunge alle proteste già sedimentate contro altre iniziative dell’esecutivo: le armi in Ucraina, le discussioni sul reddito di cittadinanza, il Superbonus 110%. Il Movimento guidato da Giuseppe Conte in un primo momento vota contro il decreto e a favore della fiducia, ma al Senato non può ripetere l’operazione perché è necessario esprimersi in un’unica soluzione. Quindi, sceglie di non votare la fiducia. Sottolinea che intende mantenere il proprio sostegno al governo, ma ormai l’iter per le (prime) dimissioni di Draghi è cominciato: già la sera stessa l’allora presidente del Consiglio le aveva presentate a Mattarella. Quest’ultimo le respinge e concede alla maggioranza altri cinque giorni per discutere di quanto sta accadendo. Così facendo, il Capo dello Stato sceglie di “parlamentarizzare” la crisi.

Le avvisaglie

La crisi di governo aveva radici profonde da ritrovare anche nei rapporti fra i partiti. Già il 29 giugno Draghi torna in anticipo da Madrid, dove si trova per il vertice Nato. Ufficialmente il rientro è dovuto al Consiglio dei ministri dell’indomani sul caro bollette e sull’assestamento di bilancio, ma inizia a trapelare l’ipotesi che la vera ragione sia nelle tensioni all’interno della maggioranza. C’è poi il Centrodestra, che accusa il presidente del Consiglio di essersi troppo sbilanciato verso il Centrosinistra: la coalizione, riunita a casa di Berlusconi (Villa Appia) stabilisce che la soluzione migliore è il voto anticipato. Intanto, il 19 luglio si verifica un incidente diplomatico quando Enrico Letta (leader Pd) viene avvistato mentre esce da un colloquio proprio con Draghi. I partiti di destra – Forza Italia e Lega, Fratelli d’Italia è all’opposizione – non gradiscono e si sentono esclusi. Accentuano perciò i toni, proponendo alcune condizioni al presidente del Consiglio per continuare a sostenerlo: nuovo governo, nuovi ministri e nuovo programma, senza i pentastellati. Draghi rifiuta.

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Draghi chiede ancora la fiducia il 20 luglio 2022, e si verifica questo quadro: presenti 192, votanti 133, favorevoli 95, contrari 38. Con lui parte di Pd, Leu Ipf e Toti. Non partecipano Lega e Forza Italia, così come il Movimento 5 Stelle. Il numero legale c’è, ma viene meno lo spirito di unità nazionale. È a questo punto che l’esecutivo lascia: potrebbe continuare a governare anche senza M5S, ma le tensioni sono troppo forti e su troppi fronti. Draghi, soprattutto, aveva ribadito le sue intenzioni nel discorso tenuto al Senato: “Ritengo che un Presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in Parlamento il sostegno più ampio possibile”. Non sarebbe andato perciò avanti senza un pezzo della maggioranza. Le dimissioni si concretizzano il 21 luglio. I cinque giorni concessi dal presidente Sergio Mattarella non sono perciò serviti: si chiude così l’esecutivo guidato dall’ex numero uno della Banca Centrale Europea.

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