Dal governo di unità nazionale alla mancata elezione al Quirinale. Ed ora la sfida di mantenere in piedi il governo alla vigilia di una nuova campagna elettorale. Per "Super Mario" inizia la prova più difficile
Gli ultimi mesi erano stati solo un susseguirsi di domande e illazioni, fino a quando, il 22 dicembre, Mario Draghi scopre le carte. Ai giornalisti che gli chiedono se intenda o meno partecipare alla corsa per il Quirinale, il premier risponde definendosi "un nonno al servizio delle istituzioni". È la conferma che al Colle l'ex governatore della Bce ci punta davvero, con quella battuta che diventerà lo spartiacque di questo suo primo anno di governo. Un passaggio che segna il prima e il dopo del suo mandato di unità nazionale, ma anche - probabilmente - del suo modo di essere presidente del Consiglio. Un prima a metà tra decisionismo e mediazione tattica, con uno sguardo fisso sul Colle e la prospettiva di guidare il Paese per sette anni. Un dopo tutto da decifrare, tra partiti allo sfascio, obiettivi non semplici da raggiungere, una scadenza certa nel 2023, campagna elettorale permettendo. Uno scenario distante anni luce da quando Draghi disse sì a Mattarella per un impegno tanto matto quanto disperato: unire forze politiche che non hanno nulla in comune e insieme a loro mettere a terra il più grande piano di aiuti economici che l'Europa abbia mai concesso. In questi primi dodici mesi la pandemia e la campagna vaccinale hanno avuto il sopravvento. Draghi ha fatto Draghi. Ha smantellato ciò che c'era prima. Si è speso a Bruxelles con le case farmaceutiche affinché ci fossero vaccini e contratti di fornitura rispettabili e da rispettare. Ha sbagliato poco o nulla. Neppure quando giocando la carta del cosiddetto "rischio calcolato" - tra green pass e obbligo per gli over 50 - ha riaperto il Paese senza più richiuderlo. Sono anche i mesi in cui il premier calca con forza la scena internazionale, con un G20 senza sbavature organizzato a Roma in piena era Covid. Le monetine che i grandi della Terra, tutti insieme, lanciano nella fontana di Trevi, sembrano aver individuato il successore della Merkel in Europa e nel mondo. Poi arrivano la politica e i partiti. Il brusco stop a sogni e ambizioni quirinalizie dopo una tardiva e maldestra negoziazione con leader e aspiranti tali, consumata all'ultimo minuto utile tra appartamenti di via Veneto e inusuali foresterie. Tutt'altra musica. Compreso quella degli applausi che i parlamentari gli riservano, blindandolo nell'indispensabile ruolo di premier per bloccare la sua corsa da presidente della Repubblica. Se Draghi tornerà a fare Draghi lo vedremo presto. Dalla capacità di superare i ritardi del Pnrr, sui quali si era chiuso un occhio. Dalla capacità di far passare provvedimenti divisivi come fisco, pensioni, concorrenza. Dalla capacità di confermare un ruolo all'estero facendo sentire la propria voce sul patto di stabilità da riformare e la crisi in Ucraina. Se Macron e Scholz volano tra Mosca e Washington, Draghi non si può fermare tra Genova e L'Aquila. E per riuscirci non dovrà fare sconti a nessuno. Tanto meno a se stesso.