24 senatori del Pdl: "Basta attacchi a governo e manovra"

Politica

Il Popolo della libertà torna a dividersi. Una delegazione chiede "la messa in sicurezza" dell'esecutivo Letta. Alfano: "Mai parlato di scissione". E sulla legge di stabilità: "Non è un Vangelo, si può migliorare"

Basta attacchi "distruttivi e permanenti" a legge di stabilità e governo. Le colombe del Pdl rialzano la voce. Torna alla ribalta il fronte di 24 senatori (due in più di tre settimane fa), pronti a fare da argine per garantire la vita dell'esecutivo Letta-Alfano contro gli 'attentati' che possano venire dal loro stesso partito. Mossa che riporta allo scoperto le divisioni interne al partito. Ma lo stesso Alfano esclude ogni tipo di scissione. "Finora ne hanno parlato solo i giornali e io non ho mai pronunciato questa parola", dice a Radio Anch'io. E aggiunge: "Lavorerò per l'unità intorno a Berlusconi e questo è un intendimento di tantissimi di noi (...).  Il ventennio di Berlusconi non èaffatto finito perché sono gli elettori a dover stabilire se questo ciclo è finito. Silvio Berlusconi è ancora il leader più votato nel nostro Paese".
E sulla legge di stabilità assicura la possibilità di modifiche (VIDEO): "Non è il quinto Vangelo e ci sono grandi  margini in Parlamento per intervenire. Ci sono luci ed ombre, ma serve un approccio costruttivo perché chi dice solo che non va bene vuol dire che intende far cadere il governo".

L'iniziativa - L'altolà delle colombe del Pdl arriva nel momento in cui tornano a farsi forti le critiche all'esecutivo e i dubbi sulla tenuta nella maggioranza, anche in seguito alla spaccatura di Scelta civica. E nel giorno in cui i falchi rilanciano sul tema della decadenza di Silvio Berlusconi, chiedendo a Palazzo Chigi di farsi carico delle modifiche alla legge Severino. Che una nuova riflessione sul tema sia necessaria, lo sostiene l'intero Pdl, compatto su questo punto. Ma il Pd oppone un muro: "Niente scappatoie".

I retroscena - Nonostante l'impegno di Silvio Berlusconi per garantire l'unità del partito, non c'è insomma tregua nel confronto tra le due anime del Pdl. Il Cavaliere ha frenato chi gli chiedeva di accelerare le decisioni sull'organigramma interno al partito. Anche l'ufficio di presidenza chiesto dai lealisti (ma considerato un tentativo di 'forzatura', in questa fase, dai governativi) non risulta al momento convocato. Continua a circolare l'ipotesi che Angelino Alfano lasci le deleghe di ministro dell'Interno per avere più tempo per il partito, mantenendo però la presenza nel governo da vicepremier. Ma allo stato, spiegano, è nulla più di un'ipotesi, difficile da realizzare, vista anche la contrarietà di Letta a fare rimpasti.

Lo scontro interno al Pdl - Ma dopo il varo della legge di stabilità i lealisti e l'ala dura dei falchi hanno rialzato la voce, facendo intravedere di nuovo l'ombra di una crisi di governo. Una minaccia spuntata, fa notare Gaetano Quagliariello, visto che il voto di fiducia di tre settimane fa ha mostrato che "non hanno i numeri". Dopo che Quagliariello ha difeso la legge di stabilità e invocato un centrodestra "da Alfano a Casini, con Silvio capo carismatico e Angelino alla guida del partito", la senatrice Pdl Cinzia Bonfrisco lo ha duramente attaccato ("il dottor Stranamore del centrismo"). Sono proprio atteggiamenti del genere che i 24 governativi (da Formigoni a Sacconi, da Augello ad Azzollini) intervengono a stigmatizzare, chiedendo "correttezza nel confronto nel partito" per non far suonare "come moneta falsa" i richiami all'unità "dietro la quale si cela - denunciano - la volontà di determinare un'incompatibilità di fatto". Parole che Sandro Bondi chiede a Schifani e Alfano di sconfessare, perché vengono da "una corrente organizzata" che "limita" il dibattito. Ma intanto l'uscita dei 24 è un segnale forte soprattutto per il governo. E sembra metterlo in sicurezza anche dai pericoli che dovessero derivare da un voto per la decadenza di Berlusconi.

La decadenza del leader del Pdl - Su questo fronte i falchi rilanciano e chiedono al governo di intervenire sulla legge Severino, esercitando la delega che quella legge ad esso attribuiva. Ma anche i governativi, più prudenti, chiedono che il Senato si fermi a riflettere, perché di fronte ai due anni di interdizione stabiliti sabato dalla Corte d'Appello i sei anni di ineleggibilità inflitti dalla legge Severino appaiono esorbitanti. Ma il Pd non è disposto ad aprire varchi e con il responsabile Giustizia Danilo Leva ricorda che si tratta di effetti diversi: penali quelli dell'interdizione, amministrativi quelli della legge Severino. Dunque "c'è poco da riflettere, bisogna solo smettere di cercare scappatoie inesistenti".

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