La vecchia maggioranza di centrodestra approva la proposta 'federalista' del Carroccio e si prepara a votare il semipresidenzialismo berlusconiano. Ma così salta l'accordo con Pd e Udc per tagliare i parlamentari e riformare il bicameralismo
Il testo delle riforme costituzionali è tecnicamente “morto”. Lo dice il relatore Carlo Vizzini nel rassegnare le dimissioni. Lo afferma la capogruppo Pd Anna Finocchiaro. Lo dice anche l’ex presidente del Senato Marcello Pera (Pdl).
Salta infatti l’intesa ‘Abc’, ovvero l’accordo tra i partiti della maggioranza montiana, sulle riforme. E rinasce l’alleanza di centrodestra tra Pdl e Lega che con un ‘blitz’ introducono in Costituzione il Senato federale. In barba all’intesa ‘Abc’ su un testo per tagliare i parlamentari, riformare il bicameralismo, introdurre la sfiducia costruttiva, il partito di Berlusconi ha infatti sostenuto la richiesta del Carroccio di rendere la seconda Camera un organo ‘federale’ e in cambio ha ottenuto che i leghisti dicano sì al semipresidenzialismo, che Pd e Udc si rifiutano invece di votare.
Il risultato? Se anche il ddl costituzionale dovesse concludere in questa legislatura il suo iter parlamentare con la doppia approvazione di Camera e Senato (cosa tutt’altro che scontata), sarebbe approvato probabilmente a maggioranza semplice, con i voti del solo centrodestra, e sarebbe di conseguenza sottoposto a un referendum confermativo. Con tante incognite e una sola certezza: la riforma (e con essa il tanto agognato taglio del numero dei parlamentari) comunque non entrerebbe in vigore prima del 2018.
Il ‘blitz’ Pdl-Lega – Il colpo di mano era annunciato dalla scorsa settimana. Ma è riuscito per una manciata di voti. Nella tarda serata di mercoledì il Senato federale è stato approvato con 153 sì, 136 no e 5 astenuti (che a Palazzo Madama valgono come voti contrari), dunque soli dodici voti di scarto. Che bastano però a porre il primo tassello dell’accordo Pdl-Lega, che porterà la prossima settimana il Carroccio a sostenere la proposta semipresidenzialista di Silvio Berlusconi, che altrimenti non avrebbe i voti per passare.
Intanto, la norma approvata da Pdl e Lega prevede che il Senato federale sia composto da 250 senatori (nel testo non sono previsti senatori eletti all’estero e nemmeno quelli a vita) più 21 senatori ‘regionali’ (dei “partecipanti”, li ha definiti polemicamente Anna Finocchiaro) eletti dai consigli regionali. Che però “non sono membri del Parlamento” (quindi formalmente non vanno ad aumentare il numero dei componenti di Palazzo Madama).
Lo scontro tra presidenti – Non tutti però nel partito del Cavaliere sono d’accordo con la mossa. E l’ex presidente del Senato Marcello Pera lo ha detto platealmente in Aula, attaccando il suo successore Renato Schifani. “Lei sta conducendo i lavori in maniera politicamente orientata”, ha accusato Schifani. E poi ha definito “morto” il testo delle riforme. “Non capisco la logica del Pdl – ha scosso la testa Pera - stiamo sprecando un’occasione importante, perché dio sa quanto abbiamo bisogno di riforme…”.
Le dimissioni del relatore – Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali, l’aveva annunciato: non sarebbe rimasto relatore di una riforma che non avesse i numeri per essere approvata a larga maggioranza ed entrare così in vigore subito, senza referendum confermativo. Perciò, un minuto dopo il ‘blitz’ di Pdl e Lega, ha rassegnato le dimissioni dal suo ruolo.
Vizzini, ex pidiellino passato al Partito socialista, si è detto “molto amareggiato” perché l’intesa ‘Abc’ era frutto “di un lavoro di mesi”. Poi anche lui ha sentenziato: “Questa sera c’è il certificato di morte” sulle riforme costituzionali.
‘Il colpo di mano’ - “Il colpo di mano al Senato può significare soltanto che Pdl e Lega vogliono destabilizzare la situazione e far saltare il banco delle riforme”, ha tuonato il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. “Vi assumete la responsabilità di farle fallire”, ha attaccato il capogruppo Udc Gianpiero D’Alia. E Finocchiaro ha accusato Schifani di essere “complice del baratto tra Pdl e Lega”.
Ma il Pdl ha difeso la bontà della propria iniziativa e assicurato che le riforme andranno avanti. Ha invitato inoltre Pd e Udc a convergere sulla proposta di elezione diretta del capo dello Stato. Poi ha contrattaccato, con Angelino Alfano: “La sceneggiata della sinistra ha un solo scopo: scegliere il presidente nelle segrete stanze dei palazzi ed evitare che lo votino i cittadini”.
Legge elettorale – Intanto, la Repubblica svela un incontro tra i segretari di Pd e Pdl Bersani e Alfano, sulla legge elettorale. Un vertice segreto che avrebbe aperto la strada a un accordo su un sistema misto spagnolo-tedesco, già ribattezzato ‘Provincellum’ perché basato su collegi provinciali. L’accelerazione sarebbe legata anche al rischio di elezioni anticipate a ottobre e potrebbe portare a una modifica della legge elettorale anche se le riforme costituzionali dovessero arenarsi. “Domani scadranno le tre settimane che avevo indicato” come termine per arrivare a un accordo, ha detto giovedì mattina Alfano, “speriamo di tirar fuori una buona legge elettorale”. Ma anche su questo fronte, le incognite restano ancora tante.
Salta infatti l’intesa ‘Abc’, ovvero l’accordo tra i partiti della maggioranza montiana, sulle riforme. E rinasce l’alleanza di centrodestra tra Pdl e Lega che con un ‘blitz’ introducono in Costituzione il Senato federale. In barba all’intesa ‘Abc’ su un testo per tagliare i parlamentari, riformare il bicameralismo, introdurre la sfiducia costruttiva, il partito di Berlusconi ha infatti sostenuto la richiesta del Carroccio di rendere la seconda Camera un organo ‘federale’ e in cambio ha ottenuto che i leghisti dicano sì al semipresidenzialismo, che Pd e Udc si rifiutano invece di votare.
Il risultato? Se anche il ddl costituzionale dovesse concludere in questa legislatura il suo iter parlamentare con la doppia approvazione di Camera e Senato (cosa tutt’altro che scontata), sarebbe approvato probabilmente a maggioranza semplice, con i voti del solo centrodestra, e sarebbe di conseguenza sottoposto a un referendum confermativo. Con tante incognite e una sola certezza: la riforma (e con essa il tanto agognato taglio del numero dei parlamentari) comunque non entrerebbe in vigore prima del 2018.
Il ‘blitz’ Pdl-Lega – Il colpo di mano era annunciato dalla scorsa settimana. Ma è riuscito per una manciata di voti. Nella tarda serata di mercoledì il Senato federale è stato approvato con 153 sì, 136 no e 5 astenuti (che a Palazzo Madama valgono come voti contrari), dunque soli dodici voti di scarto. Che bastano però a porre il primo tassello dell’accordo Pdl-Lega, che porterà la prossima settimana il Carroccio a sostenere la proposta semipresidenzialista di Silvio Berlusconi, che altrimenti non avrebbe i voti per passare.
Intanto, la norma approvata da Pdl e Lega prevede che il Senato federale sia composto da 250 senatori (nel testo non sono previsti senatori eletti all’estero e nemmeno quelli a vita) più 21 senatori ‘regionali’ (dei “partecipanti”, li ha definiti polemicamente Anna Finocchiaro) eletti dai consigli regionali. Che però “non sono membri del Parlamento” (quindi formalmente non vanno ad aumentare il numero dei componenti di Palazzo Madama).
Lo scontro tra presidenti – Non tutti però nel partito del Cavaliere sono d’accordo con la mossa. E l’ex presidente del Senato Marcello Pera lo ha detto platealmente in Aula, attaccando il suo successore Renato Schifani. “Lei sta conducendo i lavori in maniera politicamente orientata”, ha accusato Schifani. E poi ha definito “morto” il testo delle riforme. “Non capisco la logica del Pdl – ha scosso la testa Pera - stiamo sprecando un’occasione importante, perché dio sa quanto abbiamo bisogno di riforme…”.
Le dimissioni del relatore – Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali, l’aveva annunciato: non sarebbe rimasto relatore di una riforma che non avesse i numeri per essere approvata a larga maggioranza ed entrare così in vigore subito, senza referendum confermativo. Perciò, un minuto dopo il ‘blitz’ di Pdl e Lega, ha rassegnato le dimissioni dal suo ruolo.
Vizzini, ex pidiellino passato al Partito socialista, si è detto “molto amareggiato” perché l’intesa ‘Abc’ era frutto “di un lavoro di mesi”. Poi anche lui ha sentenziato: “Questa sera c’è il certificato di morte” sulle riforme costituzionali.
‘Il colpo di mano’ - “Il colpo di mano al Senato può significare soltanto che Pdl e Lega vogliono destabilizzare la situazione e far saltare il banco delle riforme”, ha tuonato il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. “Vi assumete la responsabilità di farle fallire”, ha attaccato il capogruppo Udc Gianpiero D’Alia. E Finocchiaro ha accusato Schifani di essere “complice del baratto tra Pdl e Lega”.
Ma il Pdl ha difeso la bontà della propria iniziativa e assicurato che le riforme andranno avanti. Ha invitato inoltre Pd e Udc a convergere sulla proposta di elezione diretta del capo dello Stato. Poi ha contrattaccato, con Angelino Alfano: “La sceneggiata della sinistra ha un solo scopo: scegliere il presidente nelle segrete stanze dei palazzi ed evitare che lo votino i cittadini”.
Legge elettorale – Intanto, la Repubblica svela un incontro tra i segretari di Pd e Pdl Bersani e Alfano, sulla legge elettorale. Un vertice segreto che avrebbe aperto la strada a un accordo su un sistema misto spagnolo-tedesco, già ribattezzato ‘Provincellum’ perché basato su collegi provinciali. L’accelerazione sarebbe legata anche al rischio di elezioni anticipate a ottobre e potrebbe portare a una modifica della legge elettorale anche se le riforme costituzionali dovessero arenarsi. “Domani scadranno le tre settimane che avevo indicato” come termine per arrivare a un accordo, ha detto giovedì mattina Alfano, “speriamo di tirar fuori una buona legge elettorale”. Ma anche su questo fronte, le incognite restano ancora tante.