Estinti, ma rimborsati: la Margherita e gli altri "fantasmi"

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Scomparse dalla scena, sigle politiche come Ds e An continuano a esistere. E gestire patrimoni e rimborsi elettorali ricevuti fino al 2010, per la legislatura finita in realtà nel 2008. Un tesoretto già al centro di scandali e liti tra gli "eredi"

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di Serenella Mattera

Degli spettri si aggirano per i palazzi della politica italiana. Partiti morti, defunti. Rinominati, fusi, trasformati. Fuori dal Parlamento, fuori dall’agone. Eppure facoltosi, con le tasche piene di soldi e proprietà immobiliari. Che non sono solo l’eredità del tempo che fu, ma anche il lascito di un passato recente, della fine prematura del governo Prodi. Il professore è tornato nella sua Bologna, i partiti in Parlamento si sono dimezzati, ma quelli che c’erano nel 2006, hanno continuato a intascare rimborsi elettorali fino al 2010. E oggi campano di rendita. Non solo la Margherita, riportata alla ribalta dal caso Lusi, ma anche i Ds, An e Forza Italia. Sì, erano scomparsi. Ma per il fisco esistono ancora.

I partiti "fantasma" – Nel luglio 2010 viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la ripartizione dei rimborsi elettorali relativi alle elezioni 2006 per la Camera dei deputati: si va dai quasi 15 milioni di euro assegnati all’Ulivo e gli 11,5 milioni di Forza Italia, ai 3.481 euro di Alternativa indipendente italiani all’estero. Niente di strano, all’apparenza. Se non fosse per la data. Perché nel 2010 il governo Prodi è già caduto da due anni: le elezioni 2006 sono archiviate da quelle del 2008. E la nuova tornata elettorale non solo ha ridotto il numero dei partiti con diritto ai rimborsi (vi accede chi abbia ricevuto almeno l’1% dei voti) da 18 a 13, ma ha anche tenuto a battesimo due nuovi grandi partiti: Pdl e Pd.
Insomma, nel 2010 l’Ulivo (che ha al suo interno Ds e Margherita), Forza Italia, An e pure la Rosa nel pugno (alleanza elettorale tra Radicali e Socialisti), non esistono più. Le loro sigle sono sparite dalla scena politica. I loro esponenti si sono fusi e rimescolati in altre formazioni. Com’è possibile che quei nomi per la Gazzetta Ufficiale continuino a esistere? Com’è possibile che ricevano ancora soldi per un’elezione ormai archiviata e superata da un nuovo voto?
La spiegazione è in una leggina nascosta nelle pieghe del decreto Milleproroghe nel febbraio 2006, a pochi mesi dalle elezioni che saranno vinte da Romano Prodi. Quella norma semplice semplice, dice che il rimborso elettorale va ai partiti per cinque anni, a prescindere dalla durata della legislatura. E così il governo Prodi ‘vive’ due anni, mentre il finanziamento ai partiti gli sopravvive per altri tre. Ecco l’origine dei partiti ‘fantasma’.

Margherita & co. – Quando Democratici di sinistra e Democrazia e libertà (la Margherita) decidono di fondersi nel Partito democratico (ottobre 2007), optano per la “separazione dei beni”: non portano nel nuovo soggetto i rispettivi patrimoni e i rispettivi debiti. Lo stesso fanno Forza Italia e Alleanza nazionale dopo il ‘predellino’ (novembre 2007), quando danno vita al Popolo della libertà.
Dunque, quando Pd e Pdl si presentano alle elezioni del 2008, archiviando definitivamente i partiti d’origine, questi ultimi continuano a esistere, come ‘casse’ di amministrazione del patrimonio passato e di riscossione dei rimborsi ancora pendenti per il 2006.
Non senza liti e tensioni, perché intanto gli ‘eredi’ di quel piccolo tesoro prendono vie politiche diverse, a volte opposte. Così avviene nella Margherita (dove ad esempio Rutelli fonda l’Api, Fioroni e Parisi restano nel Pd, Cesario finisce nel centrodestra), ma anche in An (dove c’è chi come La Russa e Gasparri, resta nel Pdl, e chi come Fini e Bocchino, fonda Fli). Dove i problemi iniziano quando gli ex compagni di partito iniziano a contendersi i beni aviti. Come mostrano, ancor prima del caso Lusi, due vicende che hanno visto contrapposti tra loro gli ex aennini: quella della casa di Montecarlo, lasciata in eredità ad An da un’ex militante, venduta a una società off shore e finita in affitto al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani; e la vicenda del quotidiano del partito, il Secolo d'Italia, la cui direzione è stata strappata alla finiana Flavia Perina dagli aennini rimasti nel Pdl.
Veri dominus dei partiti ‘fantasma’ (ormai casseforti, più che soggetti politici) sono i tesorieri, che amministrano i beni. La gestione, come emerge con evidenza dal caso del margheritino Luigi Lusi, è spesso opaca, a causa di norme e obblighi di rendicontazione a dir poco blandi. Ma anche a voler tralasciare questo aspetto, ce n’è un altro che desta scandalo, tanto più in tempi di crisi economica. Ed è quello, appunto, dei rimborsi elettorali.
Dal 2008 al 2010, mentre Pdl e Pd già intascano i finanziamenti relativi alla nuova legislatura (in tutto circa 33 milioni di euro l’anno per la sola Camera), i quattro grandi partiti pre-fusione di Berlusconi, Fini, Fassino (ultimo segretario) e Rutelli percepiscono infatti (alla Camera, ma vanno sommate cifre simili al Senato) circa 100 milioni di euro, lascito delle elezioni 2006: all’incirca 12 milioni di rimborsi l’anno per Fi, 6 milioni per An, 9 milioni per i Ds e 6 milioni per la Margherita.

Gli altri "fantasmi" –
Legislatura fortunata, insomma, il 2006. Legislatura forse irripetibile, dal momento che la leggina che assicurava il rimborso per cinque anni è stata cancellata: da adesso in poi, se si torna alle urne, si azzerano i soldi.
Ma intanto non sono pochi i partiti ‘fantasma’ che fino al 2010 hanno continuato ad accumulare somme non indifferenti. Soggetti politici che nel 2008 erano usciti dal Parlamento o proprio scomparsi. Come la Rosa nel pugno, alleanza elettorale tra Radicali (da sempre grandi accusatori, a dire il vero, del sistema dei rimborsi) e Socialisti, che fino a due anni fa percepiva 1,2 milioni di euro l’anno per le elezioni della Camera. E come il Partito dei comunisti italiani che prendeva 1,1 milioni, nonostante con la Sinistra arcobaleno sia rimasto fuori dal Parlamento. Come, infine, l’Udeur di Clemente Mastella, che alle politiche 2008 non si è neanche candidato (è stato rieletto nel 2009 all’Europarlamento nelle liste del Pdl), ma ancora per tre anni, dopo aver fatto cadere il governo Prodi, ha registrato in cassa 671 mila euro l’anno.

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