E se la Seconda Repubblica finisse per un insulto?
PoliticaIl dito medio di Bossi rivolto al sindaco leghista Tosi è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di offese trasversali tra politici, da Di Pietro a Formigoni, passando per Casini e D’Alema. Con una novità: per la prima volta sono rivolte ad alleati
di Filippo Maria Battaglia
"Il nostro guaio è il Pdl": il leghista Salvini non usa giri di parole per respingere al mittente le accuse di fratelli coltelli che circolano ormai in casa Lega, con tanto di liste di proscrizione riservate agli uomini vicini a Roberto Maroni. "Nessuna frizione interna al Carroccio, come scrivete voi, la squadra c'è".
Sarà. Eppure da un po' di tempo, gli strali incrociati nel partito di Bossi sono piuttosto frequenti. E non solo lì. L’ultima bordata, in ordine di tempo, è firmata Umberto Bossi. L’indirizzo è Flavio Tosi, sindaco di Verona, maroniano doc, dunque compagno di partito del Senatùr, liquidato prima con un dito medio e poi come “uno che ha portato un sacco di fascisti”, “uno stronzo” insomma.
“Stronzo” come “gli stronzi” radicali, che “galleggiano senz’acqua”: stavolta la frase è di Rosy Bindi, presidente del Pd e vicepresidente della Camera, che così definisce la pattuglia pannelliana eletta nelle fila democratiche, colpevole di non aver disertato l’Aula durante l’ultima fiducia al premier. “Presidente degli stronzi”, le risponde, da par suo, (l’alleato?) Marco Pannella.
Ma si tratta, appunto, degli ultimi due episodi di un lungo inventario, che di per sé non è affatto inedito, almeno nella storia parlamentare nostrana. Ciò che nuovo, invece, è il mittente.
Da qualche tempo, infatti, le ingiurie arrivano quasi tutte da fronti interni: stesso partito o, al peggio, stessa coalizione. E forse, oltre a segnalare un certo scadimento linguistico, registrano meglio di altri le prime scosse di un sistema in affanno, complice il sempre più realistico richiamo alle urne.
L’offesa in libertà è un fenomeno piuttosto trasversale: di recente circola un po’ ovunque, a cominciare dallo stesso Pd.
Così D’Alema bolla come “loffia” la generazione del sindaco di Firenze Renzi, “che oggi per andare sui giornali deve parlare male di me”. E si sente replicare da questi a muso duro che “troppe volte pensa di essere lui stesso il Pd”.
Ma Renzi, nel frattempo, fa pure in tempo ad accusare il suo segretario Bersani di mancanza di coraggio, scaldando i motori in vista delle primarie che, per vederlo candidato, lo costringeranno probabilmente a dimettersi dal suo stesso partito. Intanto lo stesso Bersani mette in dubbio l’affidabilità di Vendola, che gli risponde parlando di una dichiarazione “pelosa e un po’ meschina”; D'Alema critica poi l’Udc, accusandola di “pigrizie, furbizie e terzoforzismi”; Di Pietro attacca Casini, definendolo “escort della politica” ma questi replica ricordando quando l’ex pm “restituiva i soldi nelle scatole da scarpe”. E De Magistris annuncia: “A novembre arriva un grande movimento”, annunciando un divorzio mite dall’ex magistrato di Mani Pulite.
Le schermaglie però non finiscono qui. Riguardano anche il Pdl. Archiviata la stagione del “Che fai mi cacci?” e delle risse in diretta tra Fini e il premier, il valzer dell’ingiuria contagia pure i dirigenti del centrodestra, mettendo in discussione anche un totem: lui, il fondatore, Silvio Berlusconi. “Patetico smemorato”, ha detto qualche giorno fa il deputato Stracquadanio riferendosi al governatore lombardo Formigoni, il più inquieto e determinato nel partito a chiedere primarie perché “alle prossime elezioni il presidente non sarà il nostro candidato premier”.
Mirino puntato pure su Pisanu e Scajola, che a più riprese hanno chiesto una svolta al Cavaliere (meglio, un deciso passo indietro); per Feltri, editorialista del Giornale, di proprietà del Cavaliere, sono degli “arzilli democristiani” che rappresentano “una minaccia seria nell’arte di pugnalare alle spalle”. Due traditori, dunque, con un duplice obiettivo, quello di “stecchire Berlusconi” e ottenere una doppia preda, “il governo e il Pdl”.
“I figli di Maria, baciapile per convenienza (suppongo), ora sparpagliati su tutto l’arco costituzionale, ricominciano ad annusarsi e a piacersi; forse si riuniranno in branco e tenteranno di attaccare la preda onde spolparsela”, aggiunge l’ex direttore di Libero. Ma chissà se dietro le accuse di complotto e l’arte dell’insulto si nasconda solo la fine di un governo. Qualcuno, già scorge la fine di un’intera stagione politica.
"Il nostro guaio è il Pdl": il leghista Salvini non usa giri di parole per respingere al mittente le accuse di fratelli coltelli che circolano ormai in casa Lega, con tanto di liste di proscrizione riservate agli uomini vicini a Roberto Maroni. "Nessuna frizione interna al Carroccio, come scrivete voi, la squadra c'è".
Sarà. Eppure da un po' di tempo, gli strali incrociati nel partito di Bossi sono piuttosto frequenti. E non solo lì. L’ultima bordata, in ordine di tempo, è firmata Umberto Bossi. L’indirizzo è Flavio Tosi, sindaco di Verona, maroniano doc, dunque compagno di partito del Senatùr, liquidato prima con un dito medio e poi come “uno che ha portato un sacco di fascisti”, “uno stronzo” insomma.
“Stronzo” come “gli stronzi” radicali, che “galleggiano senz’acqua”: stavolta la frase è di Rosy Bindi, presidente del Pd e vicepresidente della Camera, che così definisce la pattuglia pannelliana eletta nelle fila democratiche, colpevole di non aver disertato l’Aula durante l’ultima fiducia al premier. “Presidente degli stronzi”, le risponde, da par suo, (l’alleato?) Marco Pannella.
Ma si tratta, appunto, degli ultimi due episodi di un lungo inventario, che di per sé non è affatto inedito, almeno nella storia parlamentare nostrana. Ciò che nuovo, invece, è il mittente.
Da qualche tempo, infatti, le ingiurie arrivano quasi tutte da fronti interni: stesso partito o, al peggio, stessa coalizione. E forse, oltre a segnalare un certo scadimento linguistico, registrano meglio di altri le prime scosse di un sistema in affanno, complice il sempre più realistico richiamo alle urne.
L’offesa in libertà è un fenomeno piuttosto trasversale: di recente circola un po’ ovunque, a cominciare dallo stesso Pd.
Così D’Alema bolla come “loffia” la generazione del sindaco di Firenze Renzi, “che oggi per andare sui giornali deve parlare male di me”. E si sente replicare da questi a muso duro che “troppe volte pensa di essere lui stesso il Pd”.
Ma Renzi, nel frattempo, fa pure in tempo ad accusare il suo segretario Bersani di mancanza di coraggio, scaldando i motori in vista delle primarie che, per vederlo candidato, lo costringeranno probabilmente a dimettersi dal suo stesso partito. Intanto lo stesso Bersani mette in dubbio l’affidabilità di Vendola, che gli risponde parlando di una dichiarazione “pelosa e un po’ meschina”; D'Alema critica poi l’Udc, accusandola di “pigrizie, furbizie e terzoforzismi”; Di Pietro attacca Casini, definendolo “escort della politica” ma questi replica ricordando quando l’ex pm “restituiva i soldi nelle scatole da scarpe”. E De Magistris annuncia: “A novembre arriva un grande movimento”, annunciando un divorzio mite dall’ex magistrato di Mani Pulite.
Le schermaglie però non finiscono qui. Riguardano anche il Pdl. Archiviata la stagione del “Che fai mi cacci?” e delle risse in diretta tra Fini e il premier, il valzer dell’ingiuria contagia pure i dirigenti del centrodestra, mettendo in discussione anche un totem: lui, il fondatore, Silvio Berlusconi. “Patetico smemorato”, ha detto qualche giorno fa il deputato Stracquadanio riferendosi al governatore lombardo Formigoni, il più inquieto e determinato nel partito a chiedere primarie perché “alle prossime elezioni il presidente non sarà il nostro candidato premier”.
Mirino puntato pure su Pisanu e Scajola, che a più riprese hanno chiesto una svolta al Cavaliere (meglio, un deciso passo indietro); per Feltri, editorialista del Giornale, di proprietà del Cavaliere, sono degli “arzilli democristiani” che rappresentano “una minaccia seria nell’arte di pugnalare alle spalle”. Due traditori, dunque, con un duplice obiettivo, quello di “stecchire Berlusconi” e ottenere una doppia preda, “il governo e il Pdl”.
“I figli di Maria, baciapile per convenienza (suppongo), ora sparpagliati su tutto l’arco costituzionale, ricominciano ad annusarsi e a piacersi; forse si riuniranno in branco e tenteranno di attaccare la preda onde spolparsela”, aggiunge l’ex direttore di Libero. Ma chissà se dietro le accuse di complotto e l’arte dell’insulto si nasconda solo la fine di un governo. Qualcuno, già scorge la fine di un’intera stagione politica.