La paura della Lega a Milano? Che i campi rom spariscano

Politica
Elettori della Lega sotto la pioggia - Fotogramma
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Viaggio in una sezione milanese del Carroccio nei giorni dopo la sconfitta elettorale. Per scoprire che qui il timore più grande è che Pisapia riesca a diventare un nuovo Chiamparino, lasciandoli all'opposizione per i prossimi 20 anni

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di David Saltuari

"Il rischio è che Milano diventi come Torino e che qui la sinistra governi per i prossimi vent'anni". L'analisi del dopo voto nel capoluogo lombardo fatta dai leghisti è impietosa. Il giorno è il martedì dopo il ballottaggio. Il luogo è la sezione in zona Bovisa, Milano nord. Una piccola sezione di quartiere. A parlare è Massimiliano Orsatti, ormai ex assessore al Turismo della giunta di Letizia Moratti e consigliere regionale del Carroccio che in questo quartiere ha il suo feudo elettorale. La sede è piccola, è un vecchio negozio trasformato alla buona, ma le trenta sedie sono tutte occupate. C'è anche gente in piedi. L'aria condizionata qui non è mai arrivata. Per dare un po' di frescura qualcuno sale su una sedia e piazza un piccolo ventilatore sopra un armadio. Orsatti è venuto qui, la sua sede, per spiegare ai tanti militanti delusi perché si è perso.

Troppo sicuri della vittoria - Alle pareti tutti i simboli del Carroccio, dal Sole delle Alpi fino al manifesto dell'Indiano. Su un muro, finita qui da chissà dove, una stampa di Guernica di Picasso. In sala si va dal giovane ventenne alla "sciura" (signora, in dialetto milanese) combattiva, dal militante in camicia verde al curioso in polo blu. "Avevo talmente tanta rabbia in corpo che non riuscivo a piangere" dice uno, mentre due signore discutono dei seggi dove erano rappresentanti di lista: "Da me abbiamo finito 280 per la Moratti e 260 per Pisapia, pensavo che avevamo vinto, e invece...".
Ma quando inizia a parlare Massimiliano Orsatti (Max, come lo chiamano qui) cala il silenzio. E parte la doccia fredda. "Il nostro errore è stato quello di pensare che a Milano la sinistra non avrebbe mai potuto vincere - spiega il consigliere regionale - davamo talmente per scontata la vittoria che avevamo già iniziato a litigare sul vicesindaco e ci stavamo spartendo le presidenze dei consigli di zona".

"Ci aspettavamo contestazioni e loro sorridevano"
- Molti dei presenti hanno passato le ultime settimane a girare per le strade di Milano, a battere il territorio, come sono abituati a fare da anni. "Il grande merito di Pisapia - spiega Orsatti - non è stato solo quello di portare la sua parte a votarlo, ma anche quella di essere riuscito a mobilitare i suoi elettori a lavorare per la sua campagna elettorale. Ce ne siamo accorti soprattutto tra il primo turno e il ballottaggio. Ai mercati noi eravamo in tre a volantinare, loro in quarantacinque. I mercati erano diventati tutti arancioni. Erano talmente sicuri di vincere che anziché contestarci, quando abbiamo portato Bossi in via Farini, ci guardavano e sorridevano".
Le persone in sala annuiscono e guardano verso il basso. Per molti la delusione è cocente. Per anni qui si sono cullati nella certezza che la supremazia nelle strade, nel volantinaggio, nella campagna elettorale vecchio stile, fosse in mano al Carroccio. Aver scoperto di essere stati battuti sul proprio campo di battaglia lascia a molti l'amaro in bocca.

Ripartire dall'opposizione - Ma la delusione lascia presto il posto all'ansia per il futuro. I consiglieri di zona, appena eletti e venuti qui per avere le prime istruzioni, capiscono fin dal primo minuto che il loro battesimo politico sarà meno roseo di quanto sperassero. "Qui l'unica a fare opposizione è la Lega - viene spiegato loro - quelli del Pdl non sono capaci. E ai ciellini piace troppo il potere." Dopo anni in cima, il dover tornare a masticare la polvere dell'opposizione fa parecchio arrabbiare. Anche perché le prospettive non sono promettenti.

E se poi i campi Rom spariscono sul serio? - Dall'altra parte non c'è il vecchio Pd ("contro Penati era tutto più semplice" spiegano), che su molti temi, ricordano, cercava di inseguire la Lega. Di fronte ora c'è un neosindaco che su immigrazione e integrazione non si è mai nascosto. Anzi. E la cosa lascia i militanti spiazzati. "Una volta costruita la moschea - spiega il dirigente leghista - se gli islamici vanno a pregare tutti lì in modo ordinato e viale Jenner e via Padova si svuotano, noi ai milanesi cosa diciamo? Se con le autocostruzioni  i campi rom spariscono sul serio, noi che figura ci facciamo?".
Domande retoriche cui nessuno in sala riesce a trovare una risposta. I militanti ascoltano in silenzio, si guardano a vicenda, cercando di capire come mai temi che fino a ieri sembravano vincenti, ora non interessano più l'elettorato.

Il rischio per la Lega: Milano come Torino - Alla fine Orsatti parla con un misto di rabbia e stanchezza: "Le possibilità ora sono due: una buona per Milano e cattiva per la Lega, l'altra cattiva per Milano e buona per la Lega. Quella cattiva per Milano ma buona per la Lega è che questi fanno i comunisti e fanno saltare tutto, come hanno fatto con Prodi. Governano male, si spaccano su tutto e in un anno la Lega ha triplicato i voti. Ma se questi invece dei comunisti fanno i democristiani, qui finisce che diventiamo come Torino. Perché se tu chiedi a un leghista di Torino come è la città, ti dice che è uno schifo e che è piena di immigrati. Ma poi lì la sinistra vince le elezioni da vent'anni. E allora la città sarà pure piena di meridionali e saranno pure comunisti, ma se votano sempre così, significa che ai torinesi Torino tanto schifo non gli deve fare". I militanti si alzano in silenzio. Mettono a posto le sedie di plastica e, uno dopo l'altro, lasciano la sezione per tornare a casa. Sono pochi quelli che restano per un'ultima chiacchiera. Quasi tutti vogliono andare a casa in fretta. E cercare di capire quando è che Milano ha iniziato a cambiare senza avvertirli.

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