"Assatanati e all’incasso": i sottosegretari si giudicano

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L'opposizione ha bollato come uno scandalo la nomina dei nuovi componenti di governo voluta dal premier per rinsaldare la maggioranza. Ma i più duri sono stati loro, i diretti interessati, che si accusano reciprocamente di essersi "eccitati per posticini"

di Filippo Maria Battaglia

Asserviti a logiche mercantili. Pronti a fare carte false per un posto di sottogoverno. Decisi a sfamarsi nel grande banchetto dell’esecutivo. Sui nuovi sottosegretari decisi dal governo Berlusconi nella riunione del Consiglio dei ministri del 5 maggio, si è detto e scritto di tutto.
L’opposizione ha gridato allo “scandalo”, alla “compravendita vergognosa”, a “cambiali pagate o da pagare”, specie per chi alle ultime politiche è stato eletto in partiti di opposizione.
Eppure, i ritratti peggiori li hanno forniti proprio loro, i diretti interessati, freschi di nomina o in attesa di essere nominati (a proposito, Berlusconi ha rassicurato tutti: "Pensiamo a una decina di altri posti. In questo modo tanti parlamentari potranno trovare soddisfazione").
Tutti ammettono che ci sono persone che hanno tratto vantaggio dall’"ultimo giro di giostra governativo". Tutti, al momento di fare i nomi, si tirano indietro, ma puntualizzano: “Io non c’entro”.

Prendete Riccardo Villari, ex Dc, ex Ppi, ex Udeur, ex Pd, ex MpA, ora iscritto al gruppo parlamentare di Coesione Nazionale. Lui, appena nominato sottosegretario ai Beni Culturali, al Corriere della Sera ha spiegato indignato: “All’incasso io? No, guardi: lei sta intervistando il sottosegretario sbagliato. Il governo dal sottoscritto non ha tratto tecnicamente alcun vantaggio. A Palazzo Madama, i numeri del premier sono sempre stati perfetti. Con me non c’era alcun mercato da fare”. Villari si tira fuori dunque, ma lascia pure intendere: il mercato c’è, eccome.

Ha la stessa idea un altro suo collega, Francesco Pionati, ex giornalista Rai, ex portavoce Udc, da qualche mese a capo del movimento Alleanza di Centro per l’Italia.
Il suo nome è nella rosa dei nominabili da tempo, ora come ministro, ora come sottosegretario. In questo giro, è rimasto all’asciutto, ma a Repubblica chiarisce: “Non mi hanno fregato, mi hanno chiesto di portare pazienza ancora per qualche giorno”.
Il motivo è presto detto: nell’alveo governativo ci sono degli “assatanati”. “Mi hanno chiesto di soprassedere giusto il tempo di sfamare i tanti che ritenevano improcrastinabile il loro appuntamento a tavola”.

Colleghi assatanati, anche per Pionati; colleghi che però, anche in questo caso, restano innominati. E i nomi non arrivano neanche dall’imprenditore Massimo Calearo, deputato voluto da Veltroni, ex Pd, ex Api, ora tra i “responsabili” filogovernativi, premiato con la nomina a consigliere personale del presidente del Consiglio per il Commercio estero: “La corsa alle poltrone è roba da politicanti, non da imprenditori”, spiega al Riformista.
Per questo, Calearo ha rifiutato la carica di sottosegretario: “Io non ho mai fatto il numero due di nessuno, consigliare Berlusconi sul commercio estero è un po’ come essere il presidente del Consiglio di quello specifico dossier”.

Qualcuno, invece, un po' di pace pare l'abbia trovata. Giampiero Catone, ex Dc, ex Forza Italia, ex Fli, ora al gruppo misto, è stato nominato all'Ambiente. Ma guai a parlare di corsa all'"accatto". Catone, piuttosto, si definisce un "fuorisacco"; tutta un'altra cosa rispetto a certi colleghi di maggioranza, che "si sono eccitati un po' per i posticini".
Più esplicito Aurelio Misiti, da oggi alle Infrastrutture e anche lui con un trascorso assai variegato alle spalle: ex Pci, ex Idv, ex MpA ora al gruppo misto: “Mi faccia ministro, anche sottosegretario può andare – aveva detto rivolgendosi a Berlusconi il 3 febbraio scorso - Se non gli garba mi nomini delegato del governo. Ma prima si presenti con i soldi. Venti miliardi di euro e passo con lui”.
La carica è arrivata puntuale il 5 maggio scorso. Dei soldi (che Misiti aveva chiesto per investimenti nel Sud), invece, neanche l’ombra. Almeno fino ad ora.

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